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Stragi mafiose del ’93-’94, è caccia ai mandanti

La strage del '93 di via dei Georgofili a Firenze
La strage del ’93 di via dei Georgofili a Firenze

FIRENZE – Cosa resta vent’anni dopo l’attacco frontale della mafia siciliana allo Stato? Morti, feriti, sentenze, ma anche indagini ancora in corso. Perché, se su ideatori ed esecutori di Cosa Nostra è stato svelato praticamente tutto con tanto di condanne all’ergastolo, invece sui concorrenti esterni, sui cosiddetti «mandanti a volto coperto», potrebbe esserci ancora molto da scoprire. Di questo resta convinta la procura di Firenze, che indaga sulle stragi mafiose di Roma, Firenze e Milano del ’93-‘94. «Non ci fermiamo mai, nella speranza di andare a rintracciare e identificare se ci sono, come è possibile che ci siano, ancora altre responsabilità. Se qualcuno vuol parlare lo faccia» ripete il Procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi.

Per la procura di Firenze quelle stragi furono un tentativo di estorsione della mafia allo Stato per far abrogare il 41-bis, sulla scia degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino del ‘92, con cui Cosa Nostra si era vendicata dopo la conferma delle condanne del maxiprocesso.

L'attentato del '93 in via Palestro a Milano
L’attentato del ’93 in via Palestro a Milano

La stagione delle autobombe si aprì a Roma il 14 maggio 1993, con l’attentato a Maurizio Costanzo. Poi la strage di Firenze, nella notte del 27 maggio, con l’esplosione di un fiorino carico di tritolo parcheggiato in via dei Georgofili, accanto agli Uffizi. Un mese dopo, gli attentati in via Palestro a Milano e quelli di Roma, alla Basilica di San Giovanni in Laterano e alla chiesa di San Giorgio al Velabro. Infine, nel ‘94 quelli falliti allo stadio Olimpico di Roma, contro un pullman dei carabinieri, e a Formello, per uccidere il pentito Totuccio Contorno. Il bilancio fu di 10 morti e 95 feriti, oltre ai danni incalcolabili al patrimonio artistico e religioso.

L’inchiesta fiorentina ha incrociato anche quelle di Caltanissetta -su Capaci e via D’Amelio- e di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia. Fu proprio con i magistrati di Firenze che Giovanni Brusca parlò del «papello» (trattativa Stato-mafia) che Vito Ciancimino avrebbe consegnato ai carabinieri del Ros. A differenza dei colleghi palermitani, quelli toscani dubitano che rappresentanti del Governo abbiano fornito garanzie alle richieste di Cosa Nostra.

Quello che, come dicevamo, resta da chiarire è se ci sono realmente stati dei concorrenti esterni alle stragi. Il magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi, morto nel 2003, indagò anche su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (inchiesta archiviata) chiamati in causa poi dal pentito Gaspare Spatuzza le cui rivelazioni hanno mandato a processo il boss Francesco Tagliavia (condannato in primo grado all’ergastolo a Firenze, in questi giorni comincerà l’appello) ed il pescatore palermitano Cosimo D’Amato (a processo in primo grado davanti alla Corte di Firenze) accusato di essere colui che fornì il tritolo delle stragi. Si andrebbero ad aggiungere, tali responsabilità, a coloro che sono stati condannati definitivamente nel 2002: fra i 15 condannati all’ergastolo Totò Riina, Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro (condannato in contumacia, attualmente è il quarto latitante più ricercato del mondo).


Massimiliano Mantiloni

Giornalista

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