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Matteo Renzi alla Leopolda 2013

Pronto il tranello per Matteo Renzi

Matteo Renzi alla Leopolda 2013
Matteo Renzi alla Leopolda 2013

«Viene da Firenze? La patria di Matteo Renzi!». Non è facile far capire al tassista di Taranto, durante il tragitto verso l’albergo, che la storia di Firenze annovera anche altri personaggi nel corso del tempo. «Ha ragione – risponde – ma oggi si parla di lui».

E questo è il punto. Matteo Renzi la sua battaglia mediatica l’ha già vinta. Dopo il Gianfranco Fini di un tempo e lo stesso pressoché archiviato Silvio Berlusconi, suo maestro indiscusso di comunicazione, sono pochi i politici in grado di parlare al grande pubblico senza annoiare e senza leggere. Renzi questo l’ha capito da tempo e sa perfettamente allinearsi all’uditorio e a quello che la gente vuol sentirsi dire.

Il consenso cresce. C’è la fila sempre più grossa di quelli che cercano di salire per tempo sul suo carro, magari restando sul predellino pronti a scendere. Ma ci sono e tendono sempre più ad aumentare. Come pure quelli che parlando in pubblico o nei salotti lo chiamano semplicemente «Matteo», per dare ad intendere la loro familiarità con il sindaco di Firenze, quando in realtà lo hanno visto appena da lontano.

Niente di nuovo sotto il sole sotto questo aspetto. «La gente è stufa e Renzi rappresenta la novità» dicono in molti, più seriamente. «Anche chi ha votato Grillo – rispondono altri – lo ha fatto per protesta, ma non tutti oggi lo rivoterebbero certo». E qui c’è la prima debolezza del sindaco (ex) rottamatore: apparire solo un antidoto al malcontento generale, capace di raccogliere consenso ma incapace di consolidarlo. L’Italia non è Firenze, città di 300 mila persone che borbottano un po’ ma alla fine si adeguano senza grossi problemi.

Ma la maggior debolezza di Renzi deriva proprio dalla sua attuale forza. Il crescente consenso politico che sta raccogliendo anche all’interno dell’establishment del centro sinistra è sospetto. Tre antagonisti oggettivamente deboli per le prossime primarie del Pd, il segretario del partito che per la prima volta va ad ascoltarlo alla Leopolda, un leader di spessore come Piero Fassino che ammette «non dobbiamo aver paura a passare la mano». Sono sempre meno quelli che lo attaccano e sempre più quelli che lo appoggiano, non importa se per convinzione o opportunismo.

Il tranello è pronto. Lo mandano avanti per farlo vincere prima alla segreteria nazionale poi magari alla guida del governo. Pronti però a mollarlo e lasciarlo solo un minuto dopo, perché diventi non più presentabile politicamente. E, lasciato solo, da chi andrà poi a lamentarsi? Magari al Quirinale, dove non è affatto escluso che tra non molto possa esserci Massimo D’Alema. Che non aspetta altro che veder arrivare un Matteo Renzi con il cappello in mano. Allora il gioco sarà completato.


Sandro Addario

Giornalista

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