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Dal carcere al lavoro esterno: un detenuto racconta

Uno dei cancelli dentro il carcere Mario Gozzini di Firenze
Uno dei cancelli dentro il carcere Mario Gozzini di Firenze

Sono detenuto da oltre cinque anni. Tra non molto sarò ammesso ad una misura alternativa alla detenzione: di giorno lavorerò all’esterno del carcere e alla sera vi rientrerò. Un traguardo importante. Alla notizia, non ho dormito per tutta una notte, tanta era l’agitazione. Penso di essere stato, e di esserlo ancora in parte, in preda ad un misto di felicità, paura e di chissà cos’altro ancora, dal punto di vista emotivo.

MIO FIGLIO – C’è prima di tutto il rapporto con mio figlio da recuperare: quando fui arrestato aveva solo sette anni, mentre, tra non molto, ne compirà dodici. Quindi si tratta di un percorso particolare e anche molto delicato: sicuramente dovrà essere gestito bene. La paura e la consapevolezza che è prevalsa in tutti questi anni è stata quella di essere stato un modello sbagliato per mio figlio, di averlo lasciato da solo, di avergli causato traumi. Questo pensiero ha rappresentato una costante, l’incubo notturno che non mi permetteva di dormire serenamente, di sentirmi in pace con me stesso.

REVISIONE – Mi dà forza oggi riconoscere una cosa fondamentale: sento, percepisco in maniera inequivocabile, di essere riuscito a fare un buon percorso di revisione critica, nel tempo della pena. Non c’è stato giorno, nei lunghi cinque anni passati al fresco, in cui non mi sia posto l’obiettivo di rimettermi in gioco, di lavorare, soprattutto dal punto di vista psicologico, sui miei problemi, quelli che mi hanno portato in carcere e prima ancora a intraprendere una vita di devianza ed espedienti che avrei potuto benissimo evitare.

CAMBIAMENTO – Non sento assolutamente che tutto ciò che sta avvenendo oggi mi sia stato regalato. Anzi, è il risultato di quello che sono diventato oggi: un uomo diverso, cambiato e modificato profondamente. In precedenza avevo già ottenuto alcuni permessi premio che mi hanno consentito di sperimentarmi all’esterno, di ricominciare ad assaporare la vita, quella naturale, delle persone comuni. Perché quando si è all’interno di un carcere la realtà è pressoché distorta, innaturale.

PENA – Un’altra cosa strana: non sento la necessità di uscire, anche se parzialmente, come se dovessi prendermi una sbronza di libertà. L’obiettivo principale che mi sono dato è quello di accontentarmi, di gustare quello che sono riuscito ad ottenere, dandogli un valore profondo, senza perdere di vista che sto ancora scontando la pena. In maniera diversa, questo è certo, ma sempre di pena si tratta: limiti, rientri in carcere, regole da rispettare, condotta adeguata, responsabilità da assumersi, lavoro da svolgere e quant’altro.

RECUPERO – Mi ritengo anche molto fortunato rispetto a quella che è la condizione di molti altri miei compagni che attualmente si trovano in carcere, in situazioni difficili, senza opportunità di intraprendere percorsi volti al recupero, alla rieducazione. Questo mi rattrista molto, anche perché continuo ad essere convinto che nessun uomo nasce delinquente e che c’è sempre una possibilità di rivedere certi aspetti di noi stessi. Purché si creino sempre maggiori opportunità: soprattutto all’interno delle carceri, che in questo momento sono tutto tranne che luoghi dove la persona possa veramente essere recuperata. Tranne eccezioni che purtroppo non fanno la regola.

Alessandro F.
Persona detenuta alla Casa Circondariale «Mario Gozzini» Firenze

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