Scajola, Marco Biagi e la scorta negata
Nella storia della politica recente, non sono molti i ministri che sono stati costretti alle dimissioni. Uno di questi è Claudio Scajola che già nel 2002 rassegnò le dimissioni da ministro dell’interno per aver definito «un rompicoglioni» il prof. Marco Biagi, ucciso il 19 marzo 2002 dalle Nuove Br, dopo che gli era stata tolta la scorta. L’inchiesta aperta allora dalla procura della repubblica di Bologna era stata archiviata nel 2003. Oggi la stessa procura avrebbe riaperto l’indagine sulla base della documentazione rinvenuta a casa di Luciano Zocchi, allora segretario del ministro.
CIRCOLARE – Mi sembra che la rivelazione dell’esistenza di questi nuovi documenti abbia prodotto una serie di commenti e di ipotesi fantasiose, che richiedono una precisazione di carattere giuridico e storico.
Ricostruiamo i fatti. Il 15 settembre 2001 tutti i prefetti e i questori hanno ricevuto una circolare ministeriale firmata, caso non molto frequente, dallo stesso ministro Claudio Scajola. In questo documento il ministro chiedeva che fosse realizzata una riduzione del 30 per cento delle scorte, che dovevano essere assegnate a termine, con verifica triennale della gravità e attualità del rischio, per venire incontro alle «attuali condizioni generali di sicurezza». All’indomani degli attacchi terroristici negli Usa il Viminale decise infatti di privilegiare la prevenzione, il controllo del territorio e l’ordine pubblico intervenendo «in modo significativo sull’oneroso sistema dei servizi di protezione individuale e di sorveglianza agli obiettivi sensibili». Così, senza ridurre gli standard di sicurezza delle persone considerate a rischio, il ministro in persona dispose «la restituzione ai servizi di prevenzione e controllo del territorio di una quota non inferiore al 30 per cento delle risorse» e stabilì un termine di durata per tutte le misure di protezione e maggiori verifiche sull’attualità e gravità dell’esposizione al rischio. Ma i prefetti, se ben ricordo, erano anche stati invitati in sostanza a essere particolarmente rigorosi nella selezione, e avvertiti che il ministro avrebbe personalmente valutato i risultati del loro operato. Per chi conosce bene il gergo burocratico, si faceva capire che chi non avesse ridotto a sufficienza le scorte sarebbe stato valutato negativamente (detto in altri termini, destinato ad altro incarico).
POLEMICHE – Allora ero prefetto di Pisa, e in quella provincia non erano molte le persone soggette a tutela, per cui ottemperammo facilmente al diktat.
Anche prima dell’assassinio di Biagi scoppiarono immediate polemiche per la riduzione delle scorte: prima da Milano, poi da Palermo. Protestarono i magistrati di mani pulite, ma anche quelli antimafia, tanto da costringere, il 20 settembre 2001, il capo della Polizia a intervenire in difesa della decisione del ministro. «L’impegno delle forze dell’ordine in questo momento è assoluto – disse Gianni De Gennaro – l’attenzione è massima e per questo è necessario l’impiego di tutte le risorse disponibili.In questa logica si inserisce la circolare del ministro Scajola sulle scorte, il cui scopo è ridefinire obiettivi e priorità. Non certo quello – aggiunse – di diminuire gli standard di sicurezza dei singoli».
PREFETTI – La responsabilità della concessione o della revoca delle scorte, per le personalità che operano o vivono in periferia, è però del prefetto della sede di residenza, che naturalmente acquisice anche le informazioni centrali. Nel caso di Marco Biagi – ucciso nel marzo del 2002, dopo che alla fine del 2001 gli era stata tolta la scorta a seguito delle disposizioni ministeriali – sono stati inquisiti il prefetto e il questore di Bologna dell’epoca.
Adesso la magistratura si accinge a riaprire l’inchiesta nei confronti di presunti responsabili perché sono spuntate carte che dimostrerebbero che Scajola era stato informato della circostanza che Marco Biagi era persona minacciata e a rischio. Ma questo dato non mi sembra che muti molto la situazione rispetto a quella valutata nel 2002 – 2003. Anche in quel momento si sapeva che alcune personalità, ad esempio i ministri Maroni e Sacconi, avevano segnalato, se pur non con atti ufficiali, la situazione del giuslavorista.
ARCHIVIAZIONE – Quando la magistratura archiviò a suo tempo il caso, ritengo che abbia comunque considerato il fatto che le direttive in materia avevano indotto i responsabili della sicurezza a essere rigorosi al massimo soprattutto per aderire alle indicazioni del ministro e al rispetto della percentuale di riduzione imposta.
Non so quali saranno i risultati e la portata delle nuove indagini che la magistratura bolognese avrebbe riaperto, anche sull’onda del clamore suscitato dall’ultima inchiesta che ha portato all’arresto di Scajola. Ribadisco che non mi sembra che, da quanto è apparso finora sugli organi di stampa, vi siano elementi decisivi per la rettifica della precedente decisione, almeno per quanto riguarda prefetto e questore di Bologna. Lo stesso ragionamento credo che si possa applicare alla posizione di Claudio Scajola, che aveva sicuramente anche allora una conoscenza approfondita della situazione del giuslavorista, poi ucciso dalle Nuove Br.
Le valutazioni di carattere penale spetteranno però alla magistratura, che procede adesso per un’imputazione (omicidio per omissione) diversa da quella originaria. Mentre le verifiche disposte a suo tempo dal ministero avevano già valutato le responsabilità amministrative. Credo però che tutti gli attori di questa vicenda debbano sentirsi responsabili quanto meno moralmente della sorte di Biagi. In questo senso mi sembra corretta la riflessione del ministro dell’Interno, Angiolino Alfano: «noi come Stato non abbiamo saputo proteggere Marco Biagi, questo è il dato reale. Non abbiamo ormai solo il dovere della memoria, ma abbiamo il dovere della verità».