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Carabinieri martiri di Fiesole: gli ostaggi non furono rilasciati subito

Una scena della fiction tv
Una scena della fiction tv “A testa alta”

FIRENZE – Non furono lasciati subito liberi gli ostaggi di Fiesole, dopo la fucilazione dei tre carabinieri che eroicamente si erano consegnati ai tedeschi nell’agosto 1944 nel tentativo di salvarli. Scivola nel finale, con questo infortunio storico, la pur attenta ricostruzione di «A testa alta», la fiction televisiva andata in onda ieri sera 2 giugno su Rai1, dove si vedono gli ostaggi che si abbracciano sorridenti dopo il (mai dato) ordine del tenente tedesco di liberarli.

Una testimonianza diretta smentisce quella che normalmente si chiamerebbe «libera interpretazione», ma che su fatti così rilevanti appare quanto meno una distrazione. Ho ritrovato un’intervista rilasciata da Guido Marchini, proprio uno degli ostaggi presi dai tedeschi tra la popolazione per evitare azioni di guerriglia da parte delle formazioni partigiane alle quali gli stessi carabinieri di Fiesole aderivano clandestinamente.

«Ricordo bene che un giovane ufficiale tedesco ci scelse in dieci – mi disse personalmente Marchini nel 1998 quando lo intervistai per Il Giornale della Toscana, senza nessuna smentita – battendo con un frustino sulla spalla di ognuno di noi. Era il 10 agosto, fummo rinchiusi come ostaggi in un locale dell’Albergo Aurora a Fiesole. A noi fu aggiunto un ingegnere fiorentino. Eravamo in undici in una stanza e non sapevamo niente di quello che succedeva fuori. Due giorni dopo, il 12 agosto, sentimmo uno strano rumore e capimmo che portavano altri prigionieri. Ci tennero ancora 19 giorni in quella stanza, tra la vita e la morte. Negli ultimi giorni ci passavano solo un fiasco d’acqua… L’ingegnere, che sapeva il tedesco, ci riferiva tutto quello che sentiva dire. Aveva capito che i militari paracadutisti che ci avevano rinchiuso erano andati via. Riuscì a parlare con altri soldati tedeschi e ad ottenere che ci facessero uscire uno ogni quarto d’ora in ordine d’età. Quando toccò a me mi incamminai verso casa, poi cominciai a correre e rimasi nascosto dietro un cespuglio per un giorno. Dopo qualche tempo conobbi tutta la verità: seppi soprattutto che devo la vita a quei tre eroici carabinieri».

Non è vero dunque, come si vede invece nelle ultime scene del film, quel sorridente «liberate gli ostaggi» fatto dire all’attore Johannes Brandrup, nei panni del tenente della Wehrmacht Hans Hiesserich, comandante della guarnigione di Fiesole. Al contrario gli ostaggi furono lasciati in uno scantinato dell’Albergo Aurora (quello almeno esiste davvero a Fiesole) fino alla fine di agosto, pronti ad essere uccisi per rappresaglia in caso di ostilità verso i tedeschi occupanti, di fatto vanificando il pur eroico gesto dei tre carabinieri Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti. Un sacrificio inutile il loro? Assolutamente no, perché quel 12 agosto 1944 la vita degli ostaggi era seriamente in pericolo e la motivazione della medaglia d’oro alla memoria resta intatta. Ma la fretta di tagliar corto sul finale della fiction, specie nel momento più tragico del dramma, quella poteva essere davvero evitata.

LA VICENDA

ANTEFATTO – Luglio 1944. L’avanzata anglo-americana è alle porte di Firenze e i tedeschi in ritirata per il momento tengono la collina di Fiesole, strategica per le comunicazioni verso l’Appennino. I carabinieri della locale stazione, oltre al loro servizio istituzionale, svolgono attività clandestina di collegamento con i partigiani. Il 29 luglio il carabiniere Sebastiano Pandolfi «scorta» una staffetta, il diciannovenne Rolando Lunari detto il «bomba», che deve recapitare un plico per il comando della Brigata partigiana Rosselli sul monte Giovi. Con loro in appoggio, più defilati, altri due carabinieri: Pasquale Ciofini e Fulvio Sbarretti. Lungo la strada tra Fiesole e Olmo (quella che oggi si chiama la via dei Bosconi), durante il transito di due vetture e un camion della Wehrmacht provenienti dal Mugello, i tedeschi si accorgono della loro presenza. Fermano i mezzi e si lanciano verso di loro.

FUOCO – Come scrisse il generale dei Carabinieri Arnaldo Ferrara nel libro «I Carabinieri Martiri di Fiesole» (Edizioni Il Carabiniere 1976) «per bloccare ogni iniziativa sul nascere, il carabiniere Pandolfo e il giovane Lunari aprono subito il fuoco. Mentre i tedeschi cercano riparo dietro gli automezzi, anche i carabinieri Ciofini e Sbarretti fanno fuoco. La reazione dei tedeschi è rabbiosa, un loro militare è rimasto ferito. Immediatamente concentrano il tiro sul carabiniere Pandolfo e sul ‘bomba’». I due sono feriti e sopraffatti e vengono portati via dai tedeschi. Nel frattempo anche Ciofini e Sbarretti aprono il fuoco e, con bombe a mano, mettono fuori uso l’autocarro tedesco pieno di armi. Nello scontro un soldato tedesco è colpito a morte. I tedeschi riescono comunque a ritirarsi. Il carabiniere Pandolfo ed il giovane Lunari, dopo inutili interrogatori, vengono fucilati rispettivamente il 30 e il 31 luglio.

OSTAGGI – Lo stato d’emergenza viene proclamato dappertutto a Fiesole. Un bando del comando germanico ordina che si presentino subito tutti gli uomini dai 17 ai 45 anni: chi non lo farà sarà considerato ribelle e – se trovato – verrà passato per le armi. Molti cercano di scappare, ma i tedeschi fanno poi sapere che in alternativa avrebbero prelevato i loro genitori. In circa 25 uomini vengono radunati nella piazza del Comune e un ufficiale tedesco ne «sceglie» 10 battendo con un frustino sulla spalla di ciascuno. Vengono rinchiusi nello scantinato dell’Albergo Aurora, ancora oggi esistente a Fiesole.

martiriPARTIGIANI – Nel frattempo i tedeschi, sempre più convinti che i carabinieri facciano tutti parte della resistenza arrestano il vice brigadiere Giuseppe Amico, comandante della stazione, e lo portano con altri prigionieri sull’Appennino, da dove però riesce fortunatamente a scappare e a ricongiungersi a Firenze con i partigiani. L’11 agosto lo stesso Amico fa pervenire un messaggio ordinando loro di raggiungerlo a Firenze oltre le linee. Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti obbediscono ma, non potendo passare le linee nemiche, restano nascosti non lontano dall’anfiteatro romano in attesa di potersi congiungere con le forze partigiane o alleate.

RAPPRESAGLIA – Poco dopo mezzogiorno del 12 agosto vengono contattati dal monsignor Turini della Curia Vescovile di Fiesole e dal dottor Orietti (segretario comunale) che li informano che il comando tedesco, scoperta la loro fuga minacciava di fucilare per rappresaglia i dieci ostaggi dell’Aurora, se i tre non si fossero consegnati. I carabinieri, lasciati soli a decidere, scelsero di tornare sui loro passi, presentandosi in divisa «nel tentativo – scrive lo storico Cosimo Ceccuti – in cui loro stessi poco credevano, di fare credere di non avere mai avuto intenzione di fuggire e che la loro assenza fosse stata solo momentanea». Dopo un inutile e stringente interrogatorio, intorno alle 19,30 furono portati anche loro all’interno dello scantinato dell’Aurora e poco dopo fucilati. Erano tutti e tre poco più che ventenni. Gli ostaggi restano prigionieri fino alla fine di agosto, fino a quando il reparto tedesco che li ha presi non lascia Fiesole ritirandosi a nord.

MOTIVAZIONE MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE AI TRE CARABINIERI

«Durante la dominazione nazifascista, teneva salda la tradizione di fedeltà alla Patria, prodigandosi nel servizio ad esclusivo vantaggio della popolazione e partecipando con grave rischio personale all’attività del fronte clandestino. Pochi giorni prima della liberazione, mentre già al sicuro dalle ricerche dei tedeschi, si accingeva ad attraversare la linea di combattimento per unirsi ai patrioti, veniva informato che il Comando germanico aveva deciso di fucilare dieci ostaggi nel caso che egli non si fosse presentato al comando stesso entro poche ore. Pienamente consapevole della sorte che lo attendeva, serenamente e senza titubanze la subiva perché dieci innocenti avessero salva la vita. Poco dopo affrontava con stoicismo il plotone di esecuzione tedesco e, al grido di « Viva l’Italia! », pagava con la sua vita il sublime atto d’altruismo. Nobile esempio di insuperabili virtù militari e civili.»


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Sandro Addario

Giornalista

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