«Mio Dio», di Giorgio Saviane: ecco il libro che raccoglie la sua opera
Sono molto felice che Mario Guaraldi abbia deciso di ristampare e quindi riportare in vita e in libreria (da mercoledì 3 dicembre) i romanzi di Giorgio Saviane, ormai scomparsi da tempo, si possono trovare solo sui banchi dei libri usati nei mercatini rionali. Il nuovo libro s’intitola: «Mio Dio». Questa operazione letteraria intrapresa dalla Casa Editrice, mi toglie il rimorso per non essere riuscita a mantenere i testi di Saviane presenti nelle librerie. Quando ci sposammo mi disse “sono contento di sposarti anche perché sei giovane e potrai adoperarti per far vivere a lungo le mie opere”, purtroppo non è stato così e sono passati già quattordici anni!!
Con grande emozione prendo la penna e mi accingo a scrivere su di un foglio di carta, purtroppo non riesco a concentrarmi battendo direttamente sui tasti del computer, lo trovo un modo freddo e impersonale, sentire invece la penna scorrere sulla pagina, a mio parere, è più poetico. Saviane non voleva nemmeno vedere la macchina da scrivere, il ticchettio dei tasti gli impediva la concentrazione, quando arrivarono i primi apparecchi di video scrittura ne apprezzò la velocità del taglia e incolla, ma non volle mai tentare un approccio .
La mattina, quando si trovava nella casa di Firenze, si sedeva in una poltrona di pelle rossa davanti a una portafinestra da cui poteva vedere l’Arno, il giardino di Boboli e Forte Belvedere, sulle ginocchia teneva un lungo cartone su cui appoggiava un quaderno a righe con copertina marrone, immerso nel più assoluto silenzio scriveva per molte ore con una grossa stilografica nera, usava inchiostro verde, i telefoni rigorosamente staccati. Il pomeriggio lo trascorreva nel suo studio legale dove svolgeva la professione di avvocato civilista.
Per capire meglio il personaggio riporto uno stralcio di un’intervista fatta da Ferdinando Camon , la domanda posta ad alcuni scrittori era: “Perché scrivete?” (Rispondono 109 scrittori italiani –“Nord-Est” N.6 Garzanti 1989)
Saviane esordì così: “A bruciapelo risponderei: perché non posso farne a meno….Vivere la pagina, la scrittura, le parole, la sintassi spericolata, i verbi attraverso un comporre di striscio: per limare o acuire o chiarire il discorso: quando tagli, quando giustapponi le parole e i tempi per accreditare fin ciò che sospetti si possa dire; quando senti che essere scrittore è una condanna simile all’abbandono estremo della gazzella nelle fauci del leone a capire l’avventura biologica. Fare lo scrittore è vivere tutte le vite senza realizzarne nessuna.”
Tanti anni fa, era appena uscito il romanzo “Eutanasìa di un amore” la libreria Rinascita di Roma invitò Saviane per una presentazione, durante il suo intervento, venne interrotto da un uomo che con tono polemico esordì:
“Sono un operaio, ho trovato il suo libro molto difficile, sono dovuto andare a prendere addirittura il vocabolario per riuscire a capire alcuni termini che non conoscevo!”
Saviane sorridendo gli rispose:
“Lei non sa quanto piacere mi procura la sua protesta, si trasforma in musica per le mie orecchie, vuol dire che sono riuscito nel mio intento, costringere un lettore a prendere il vocabolario. La ricerca del termine appropriato è per me una priorità, quando lavoro sul mio tavolo c’è più di un dizionario, li consulto quotidianamente, quindi la ringrazio di avermi fatto questo involontario complimento, pensando di mettermi in imbarazzo.” Dal fondo della libreria scoppiò un lungo applauso e la tensione svanì.
La profonda religiosità di Saviane si può evincere da un’intervista rilasciata ad Assisi nel 1984 dopo la pubblicazione di “Getsèmani”: “… E io credo che Gesù ora sia qui con noi e lo credo evangelicamente, perché proprio lui dice: “Quando due o più sono radunati in nome mio, io sono in mezzo a loro”. E probabilmente suggerisce che la certezza non è un dato di Dio, o meglio potrebbe essere un dato di Dio, se noi avessimo la possibilità di conoscere Dio. Ma invece la vita è tutto un galoppo sfrenato e non certo un cammino lento a capire Dio. E il Getsemani ci aiuta. Ogni volta che noi tocchiamo la sofferenza, se noi la accettiamo, compiamo veramente l’atto che Gesù ci ha insegnato per essere felici. Getsemani quindi è nato dal mio Getsemani e certamente non vorrò raccontarvi qual è il mio Getsemani. Ciascuno di noi ha il suo Getsemani, e fortunatamente, perché solo attraverso il dolore si può raggiungere la felicità.” “Gesù di Nazarth: il ‘caso’ non è chiuso” (Cittadella Editrice – Assisi 1984)
In un’altra intervista afferma: “… Da allora la figura di Cristo è diventata il viatico essenziale al mio pensiero, tanto che spesso dico che il discorso della montagna del Vangelo potrebbe essere la Carta Costituzionale dell’uomo del futuro” (“Gesù Cristo nella narrativa Italiana del ‘900” – Quaderni della -Biblioteca Pro Civitate Christiana – Assisi 1992)
Adesso il fatto che “cervello medio” voglia mettere le mani sulle opere del maestro, fa tremare i polsi e penso farà inorridire molte persone, critici compresi, me ne assumo tutta la responsabilità. Mario Guaraldi ha avuto l’intuizione di raccogliere più romanzi in un solo volume, certamente non i testi integrali bensì le parti più intense e significative, così da rendere fruibile e maneggevole il libro, altrimenti simile ad un Omnibus, pesante e ingombrante.
Questo volume contiene ben quattro romanzi, ridotti all’osso, in duecentocinquanta pagine si ha un’idea del pensiero religioso di Saviane e della sua affannosa ricerca di Dio. In un secondo tempo se il lettore vorrà approfondire uno di questi testi nella sua interezza, potrà cercare su internet l’edizione integrale. Per esempio “Voglio parlare con Dio” è stato tagliato, tanto da renderlo quasi una preghiera e l’Editore ha pensato di metterlo all’inizio del volume, seguito da “Il Papa”, “Getsèmani” per terminare con “Il mare verticale”.
Desidero chiudere questa presentazione riportando un altro stralcio della risposta di Saviane a Camon nell’intervista “Perché scrivete?”: “…sospettai che senza dolore non esiste la felicità del risolverlo sulla pagina e che non si scrive mai soli: l’associazione di idee mette un contatto con gli altri a cercare la radice comune del tempo che si vive. L’uomo è carico di fallimenti e di vittorie: queste ultime sono spesso la comprensione di quelli, giustapponendo gli elementi come fa il narratore con le parole. L’analogia è perfetta. Ma narrare per narrare non è neanche un esercizio, è onanismo, vizio. Narrare l’idea invece, rendere corpose le parole, trascinare nelle proposizioni la novità che si intuisce, rincorrerla attraverso la forma, bandire concorsi di vocaboli come piani sovrapposti per arrivare alla scoperta, per capirla tu stesso, per gioirne…..L’idea si scompiglia, rimane isolata (non comunicata), impotente come il grido del folle. Medicare la follia è uno dei poteri dello scrivere e anche di questo beneficio sento la necessità.