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Roberto Benigni

Benigni, dopo i «Dieci Comandamenti» ora è pronto per la porpora cardinalizia

Roberto Benigni durante la seconda serata dei «Dieci Comandamenti»
Roberto Benigni durante la seconda serata dei «Dieci Comandamenti»

FIRENZE – Incassa l’ammirazione della Chiesa (e dalla Rai oltre due milioni di euro) Roberto Benigni che con due ore filate di monologo, senza interruzioni pubblicitarie, ha chiuso ieri sera 16 dicembre le due puntate televisive dei «Dieci Comandamenti». Lettura e commento del testo originale ebraico, adattato e reso fruibile al pubblico televisivo, che nella prima serata di lunedì 15 lo ha seguito con uno «share» del 33%, pari a oltre 9 milioni di telespettatori. Una cifra ragguardevole, ma lontana dal picco di quasi il 44% ottenuta nel dicembre 2012 con «La più bella del mondo», lettura a portata di tutti della Costutuzione Italiana.

RAI – Grande soddisfazione in casa Rai, nonostante le voci insistenti di un cachet di 2,4 milioni per le due serate sulle tavole di Mosè (di fatto 240 mila euro per ciascun Comandamento) più altri 1,6 milioni per un nuovo spettacolo sulla Divina Commedia. In tutto 4 milioni di euro (avete capito bene, 8 miliardi delle vecchie lire) tondi tondi che andrebbero al «profeta» Roberto da Vergaio. Da parte della Rai solo una timida smentita: «cifre non corrispondenti al vero», senza però fornire indicazioni precise e trasparenti sul contratto con l’attore toscano.

CHIESA – Ma ancora più autorevole ammirazione è arrivata dalla Chiesa. Il Sir, l’agenzia dei vescovi italiani, parla di un «Benigni in punta di piedi» che ha dimostrato «come si possa fare spettacolo vero senza scadere nella ricerca di consensi costi quel che costi, facendo leva solo sulla propria arte e sulla fedeltà a contenuti veri dopo tremila e passa anni». Per il severo Famiglia Cristiana si è trattato (riferendosi alla serata del 15) di «quasi due ore di lettura intensa e senza digressioni del Decalogo biblico, mantenendo sempre viva l’attenzione del pubblico e senza mai cadere nella banalità. Una grande prova del comico toscano». Non sarà il passaporto definitivo verso la porpora cardinalizia, ma poco ci manca.

Roberto Benigni
Roberto Benigni

COMANDAMENTI – Nella seconda puntata di ieri sera 16 dicembre Benigni – può darsi anche per la ristrettezza dei tempi a disposizione – salta addirittura la tradizionale «ouverture» di satira politica, da sempre sostanzialmente in chiave antiberlusconiana. Va invece dritto ai sette comandamenti non trattati nella prima serata partendo da «onora il padre e la madre»: di fatto – spiega – è un inno alla vita, un ringraziamento per il dono della vita ricevuto dai genitori, una presenza accanto a loro soprattutto quando, al termine del loro cammino terreno, ritornano quasi ad essere bambini. E i figli diventano i loro genitori.

ADULTERIO – Non è facile rendere fruibile al grande pubblico testi biblici come quelli della Genesi. Benigni accetta la sfida e prosegue. Quinto comandamento: non uccidere. E qui l’inevitabile cenno alla necessità di cancellare la pena di morte nel mondo «attuata sempre per motivi economici, politici e religiosi, ma mai per una questione di giustizia». Sesto comandamento: non commettere adulterio. «Cosa ben diversa – dice Roberto tornato per qualche momento al suo originario ruolo di comico – dalla versione cattolica che indica: non commettere atti impuri. Che poi era l’ossessione dei maschi di 12-13 anni, quando andavo a scuola: il nostro confessore voleva sapere subito quella cosa lì, quante volte lo avevamo fatto. E noi imbarazzati e rossi di vergogna».

AMORE – Settimo comandamento: non rubare. «Dio questo comandamento lo ha scritto direttamente in italiano – ironizza Benigni – un trattamento di favore per noi italiani». Gli ultimi tre comandamenti, dopo il biasimo della menzogna e della falsità, si concentrano sul divieto di possedere quanto appartenga agli altri, al prossimo. Ed è proprio sull’amore verso il prossimo che si chiude la trattazione dei comandamenti. «O recita bene o sembra convinto di quello che dice » commenta al termine un telespettatore, inguaribile scettico sulla reale «conversione» del comico toscano, che aveva iniziato la sua carriera negli anni ’70 a suon di bestemmie e turpiloqui.

QUIRINALE – Cosa c’è nel futuro di Benigni (62 anni) è presto per dirlo. Grande comunicatore e catturatore di consensi, competenza su temi di spessore (letteratura, politica e ora religione). Da sempre vicino alla sinistra che conta, ora può contare anche sull’apprezzamento della Chiesa e strizzare l’occhio ai moderati. Sembra quasi delinearsi un identikit per un possibile prossimo Presidente della Repubblica. Chissà se Renzi non ci abbia già pensato. Del resto la cosa non è nuova: ne parlò perfino Eugenio Scalfari nel 2012, sponsorizzandolo, e da tempo esiste una bacheca di Facebook dal titolo «Vogliamo tutti Roberto Benigni Presidente della Repubblica». E tra le note che corrono sul web ce n’è una che dice: «Al Quirinale farebbe bene, il suo discorso di fine anno sarebbe certo più gradevole di quelli che finora abbiamo visto. E poi la Rai potrebbe trasmetterlo gratis, senza pagarlo». E non è poco.

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Sandro Addario

Giornalista

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