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I resti della cattedrale di Haiti dopo il terremoto del 2010

A tre anni dal terremoto, Haiti si aggrappa al futuro

Hubens, 14 anni sogna di diventare pediatra
Hubens sogna di diventare pediatra

DA HAITI – “Quando finirò la scuola, voglio andare all’università e diventare medico pediatra. Ho visto troppi bambini stare male qui ad Haiti. C’è bisogno di aiutarli”. Quattordici anni da poco compiuti, Hubens L. parla come un diciottenne con lo sguardo di un trentenne. Non ha dubbi sul suo futuro. Il presente per lui si chiama “Foyer Saint Louis”, una struttura di accoglienza per bambini orfani o che hanno una famiglia che non è in grado di mantenerli. Il passato non è solo il tragico terremoto del 2010 con 250 mila morti, che Hubens ha vissuto in diretta ma anche un viaggio della speranza in Italia nel 2006 per una grave malattia, ora risolta nel migliore dei modi. È stato otto mesi da solo, ad appena 8 anni, in strutture sanitarie a Thiene e Padova. Poi un periodo a Milano, prima di tornare guarito a casa. Da qui l’ottimo italiano che ha rapidamente imparato e che si abbina al suo creolo e al francese. Senza perdere di vista lo spagnolo e l’inglese.

Hubens è uno dei più grandi tra gli oltre 150 ospiti del Saint Louis, una delle numerose strutture gestite dalla Fondazione Francesca Rava Nph Italia (www.nph-italia.org) qui nell’isola di Haiti. Un luogo dove la solidarietà si tocca con mano, perché molti di quei bambini sono adottati a distanza da “padrini e madrine” italiani. Un contributo che permette loro di crescere e di proseguire negli studi.

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Orari e comportamenti sono da collegio svizzero. Sveglia, pulizia personale e del proprio posto letto, colazione, momento di raccoglimento al massimo alle 7, per poi entrare puntuali alle 7.30 a scuola. Tutti a quell’ora corrono verso le aule, nuovi edifici prefabbricati che accolgono anche centinaia di alunni in arrivo da tutta la periferia nord di Port au Prince, magari dopo chilometri a piedi ma perfettamente vestiti con la divisa del Saint Louis.

Le lezioni terminano alle 13. Per gli “interni” è l’ora del pranzo. Si mangia in un sorprendente silenzio e compostezza, dopo la preghiera del ringraziamento. È la regola. Per giocare c’è ancora tempo. Chi è di turno, tra gli alunni, lava i piatti della propria tavolata. Altri devono pulire anche per terra. Una questione di ordine mentale, non solo d’igiene.

Finalmente un po’ di pausa. Lucknic e Lucknel, due gemelli orfani scampati al terremoto, ne approfittano per tirare qualche calcio al pallone, inseguiti dai loro coetanei di 10-11 anni. Entrambi sono stati adottati anche dal Rotary Club Firenze Nord, che dall’Italia provvede al loro mantenimento. Sono felici per la maglia della Fiorentina e il pallone appena arrivati da Firenze.

Si torna a studiare, poi alle 17 televisione o riunioni di gruppo in attesa della cena. Alle 19.30 tutti a letto. Chi vuole può leggere, ma alle 20 la luce deve essere spenta. In quei letti tante piccole teste restano sole con i loro pensieri e i loro sogni. Non tutti hanno un padrino italiano a cui scrivere e confidare le proprie speranze, molti lo vorrebbero.

Intorno regna il silenzio mentre, a distanza, la capitale Port au Prince fatica a prendere sonno. A tre anni dal tragico terremoto, molte ferite sono ancora aperte. Ma la gente di Haiti è tenace e non si rassegna. Si aggrappa al futuro e va avanti. Come i tanti bambini del Saint Louis, pronti – Hubens è tra quelli – a dare il buon esempio.


Sandro Addario

Giornalista

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