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Tav, aeroporto e i “grillerendum”

Il referendum nella storia italiana è stata una cosa seria. Nel 1946 il Paese ha optato per la Repubblica invece che per la monarchia, nel 1974 ha sancito la possibilità di divorziare rispetto all’indissolubilità del matrimonio, nel 1981 si è concretizzata la libera scelta della donna sull’impossibilità di interrompere la gravidanza. Più recentemente, nel ’93, una consultazione referendaria ha cambiato per la prima volta in Italia la legge elettorale (limitatamente al Senato): da proporzionale a uninominale; un voto che poi ha “costretto” i partiti a cambiare anche la legge per la Camera, così rimasta fino all’avvento del Porcellum. E ci sono stati referendum che, successivamente, hanno cambiato parti della Costituzione.

Per decenni il referendum è stato usato con cautela e ogni tema è stato al centro di grande dibattito pubblico. I radicali, primi utilizzatori di questa possibilità costituzionale, con gli anni ci hanno preso gusto fino a “stancare” i cittadini come testimoniano i quorum non raggiunti in modo continuativo dal ’97 al 2009 per qualcosa come 24 referendum che si occupavano di tutto: dalla caccia all’ordine dei giornalisti, dal Csm alla procreazione assistita. In tutti questi casi la norma che considera valide solo le consultazioni che raggiungano il quorum del 50 per cento degli aventi diritto è stata determinante per affossare i quesiti.

Nel frattempo, la politica aveva già trovato il modo per aggirare qualche norma ritenuta evidentemente non così rilevante come invece considerato dagli elettori: non solo l’ormai nota abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, votato per ben due volte dagli italiani nel 1978 e nel 1993, ma anche la fine della Rai pubblica e di numerosi ministeri (turismo, agricoltura etc.), sempre rinati in altre forme. Al contrario, c’è stato un referendum votato solo nel 2011 che in realtà è stato “rispettato” anche prima delle urne: il divieto per l’Enel di costruire centrali nucleari sul nostro territorio.

Anche a livello amministrativo la moda dei referendum è dilagata. Solo che in questo caso la stessa legge li considera solo consultivi, dunque senza reale valore se non quello politico che può avere una consultazione popolare. Ne sa qualcosa l’ex sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, quando l’indomani la bocciatura della tramvia da parte dei fiorentini si inventò che anche in questo caso serviva il quorum.

E se la politica della prima e della seconda Repubblica ha utilizzato in modo strumentale il referendum, le avvisaglie di quella che (impropriamente) viene chiamata Terza Repubblica non sembrano migliori. A far tornare di moda i referendum (non necessariamente nelle urne, ma anche con la scorciatoia di farli su internet) è stato Beppe Grillo e il suo Movimento 5 Stelle. Il fatto che abbia avuto successo fra gli elettori ha portato questa “moda” anche nei partiti “tradizionali”. Solo che la democrazia referendaria presuppone scelte ponderate, fatte nelle urne e possibilmente su argomenti che determinano il futuro di una città, una regione o del Paese. Non semplici “mi piace” su internet, magari su questioni già definite, da anni o decenni.

Al contrario, i promotori dei referendum in salsa grillina, i “grillerendum”, a Firenze si sono subito indirizzati su due argomenti che dovrebbero già essere assodati da tempo come la Tav e l’aeroporto. Il tunnel sotto Firenze e la nuova stazione sono stati varati addirittura quando Vannino Chiti era presidente della Regione; sono passati dieci anni di Claudio Martini e adesso l’istituzione la sta governando Enrico Rossi, il progetto è stato finanziato, la centrale Mukki spostata e i cantieri aperti. Qui non servono i referendum, nè i “mi piace” su internet, piuttosto le ruspe. E che scavino bene, visto che l’intero centro di Firenze è patrimonio dell’umanità.

Sulla nuova pista dell’aeroporto l’ok ufficiale della politica non è ancora arrivato ma il dibattito risale agli anni 80, cioè quando Beppe Grillo faceva uno spettacolo che si chiamava “Te la do io l’America”. Sì, ma non in aereo, evidentemente, visto che adesso i suoi seguaci vorrebbero chiedere il referendum sull’unica opera pubblica nella storia che allo stesso tempo va nella direzione dello sviluppo e diminuisce rumore e smog sui centri abitati. E la cosa ancor più incredibile è che il referendum (non si sa bene se su internet o reale) ha contaminato anche esponenti dei partiti “tradizionali”.

Il referendum e la democrazia diretta sono due strumenti importanti, declassarli a banali “grillerendum”, consultazioni (eventualmente su internet) dalla dubbia coincidenza con la volontà del popolo non sembra proprio la strada giusta per arrivare a crescita e prosperità. Così come quella di rinvangare dibattiti e discussioni che risalgono a quando Grillo prendeva cachet milionari (in lire) negli show del sabato sera.

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