Maggio: i perché di una crisi senza fine
Un incubo? No, è realtà. La Fondazione Maggio Musicale Fiorentino è a un passo dal baratro. Sono anni che si parla della crisi dell’ente lirico fiorentino. Colpa delle malelingue? Macché.
Dal 1998 a oggi, la Fondazione Maggio Musicale Fiorentino ha sempre prodotto bilanci in deficit, escluso il 2005, quando l’allora commissario Nastasi intervenne, vendette la Longinotti, rimise in conti in sesto, ma l’anno dopo il bilancio tornò nuovamente in rosso. In pratica dal 1999 al 2011 il Maggio ha “collezionato” oltre 51 milioni di euro di debiti, mentre lo Stato, nello stesso periodo, al Maggio ne ha erogati quasi 300. Ma non basta: a questi vanno aggiunti gli oltre 40 milioni elargiti dai soci privati, gli oltre 33 del Comune, i circa 23 della Regione e i 5,6 della Provincia. Totale: oltre 400 milioni di euro. E oggi la Fondazione è a un passo dalla bancarotta.
La sola differenza dal 1998 è che oggi c’è un nuovo commissario –Francesco Bianchi – che stavolta ha dato l’aut aut a tutti. Secondo lui la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino ”corre diritta verso il muro della liquidazione. Se rapidamente e in maniera strutturale non raddrizziamo i conti l’azienda alla fine di aprile chiuderà i battenti”.
E c’è da credergli, a differenza dei proclami del presidente della suddetta fondazione – il sindaco Matteo Renzi – e dell’ultima sovrintendente, Francesca Colombo, che lui stesso aveva nominato.
La Colombo, sopraffatta da un eccesso di fantasia, alla fine di maggio del 2011 lasciò intendere che, nonostante il bilancio del 2011 si fosse chiuso in perdita di 3 milioni e mezzo di euro, nel 2012 si sarebbe arrivati a un sostanziale pareggio di bilancio, con addirittura un utile stimato in 130mila euro. Poi per il 2013 la Colombo prevedeva perfino di chiudere con un attivo di 735mila euro.
La realtà, messa in luce due giorni fa da Bianchi, è che il bilancio consuntivo 2012 del Maggio ha chiuso con una perdita di tre milioni, mentre il preventivo 2013 chiuderà con una perdita superiore a 5,5 milioni.
Da qui l’odore acre di catastrofe per l’ente a causa di chi doveva intervenire e non l’ha fatto.
Come ad esempio di coloro che dovevano attuare commissariamento ben prima dello scorso gennaio: era il luglio del 2010 quando i sindaci revisori della Fondazione chiesero il commissariamento dell’ente; non vennero ascoltati e così accadde un anno dopo, quando per legge (il Decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367) invece l’ente andava commissariato. Invece il Direttore Generale dello Spettacolo, Salvatore Nastasi, e Renzi, si accordarono per dare l’ennesima chance alla Colombo che ha clamorosamente fallito.
Anche se poi a pagare è sempre e solamente Firenze, la Toscana, lo Stato, che annualmente stanziano decine di milioni di euro per questo ente in perenne deficit. Per non parlare dei soldi spesi per la costruzione del nuovo teatro, ai margini del Parco delle Cascine, costato già 150 milioni di euro (40 stanziati dal Comune, altrettanti dalla Regione e il resto dallo Stato), e che alla fine (se mai vedrà la fine un simile progetto), ne costerà 260. A tal proposito la Regione ne ha stanziati altri 21 per il completamento della torre scenica, ma evidentemente per ora non servono perché i problemi sono altri, ben altri.
A rendere ancor più tragica la situazione, ecco la recentissima pubblicazione delle Minicifre della Cultura, l’annuale report diffuso dal Ministero per i beni culturali, che fotografa la situazione degli stanziamenti delle risorse, settore per settore. Nel 2011 il Fus (Fondo unico dello spettacolo) ammontava a 359 milioni e di questi ben 220 sono andati ai 14 enti lirici italiani. Si tratta del 61,28% dell’intera somma che lo Stato ha stanziato per gli spettacoli dal vivo. Un’enormità se si pensa che questo contributo ha generato solo poco più di 2 milioni di ingressi a pagamento, per un totale di circa 93 milioni di euro di incasso, la metà del teatro e molto meno della metà rispetto ai concerti di musica leggera.
Come dire che la lirica, a livello nazionale, è un genere che costa moltissimo e rende poco, senza contare il risvolto “energivoro” del settore, cioè la concentrazione di un gran quantità di risorse solo sulla lirica alla fine si rivela un costo insostenibile per gli altri generi di spettacolo e per la cultura nel suo insieme. Come dire che il Ministero della cultura oltre che povero è anche miope nei confronti dei suoi figli, perché premia quello che costa di più e produce di meno.