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La tiepida fede religiosa dei fiorentini

Appena eletto il nuovo Pontefice, politici, amministratori e personaggi fiorentini in qualche modo in vista hanno esibito dichiarazioni, per lo più scontate e di circostanza, che hanno finito per offrire l’immagine di una città di maniera. La maggior parte dei commenti sono apparsi orientati ad affermare una presenza comunque visibile nei salotti della scena mediatica, come se fossero una parentesi, solo un distacco fugace dai riti dettati da una politica stantia e da un mercantilismo sempre più scadente.

D’altro canto se è stata forte e chiara la voce dei più autorevoli rappresentanti istituzionali della Chiesa fiorentina, l’evento non pare aver riscaldato più di tanto i cuori anche tra i nostri cattolici, le cui reazioni sono ben sintetizzate dal non prolungato scampanio scaturito all’annuncio dell’elezione. Scampanio che pare circoscritto al solo campanile della cattedrale e non molto più esteso.

È una conferma che anche all’ombra del campanile di Giotto si vive un cristianesimo opaco, titubante e statico di fronte alle sfide del mondo attuale, osservante della dottrina solo in modo formale, subalterno alle necessità quando non alle lusinghe dei più vari compromessi, non esclusi quelli di potere. Sebbene siano diffuse le pratiche solidaristiche, ed anche di carità, si campa rinserrati in parrocchie e movimenti tra loro non comunicanti ed il più delle volte autoreferenti, in uno stile tutto diverso da quel popolo in cammino, incalzante connotazione chiaramente conciliare, subito evocato da Francesco, appena affacciatosi al balcone di San Pietro.

L’occasione sarebbe invece propizia per tornare a coltivare un terreno che fu fertilissimo di originale e cristallina devozione, di piena e feconda adesione ai valori del Vangelo, di influssi positivi nella vita sociale e politica in una città che solo qualche decennio addietro annoverava sindaci del calibro di Giorgio La Pira e di Piero Bargellini. Ne potrebbe derivare anche un contributo prezioso per l’ineludibile ricostruzione di un tessuto etico e morale, come pure per la necessaria ricomposizione di coscienze partecipative e tolleranti, indispensabili per la riaffermazione di dinamiche che abbiano davvero come fine la persona e la sua dignità.

Più generalmente anche il nome che l’eletto si è imposto ha evocato interpretazioni appiattite sullo stereotipo, storicamente fuorviante, di un San Francesco edulcorato e buonista che in sostanza dà ragione a tutti, ad esempio dimenticando che ebbe il coraggio di esprimere con fermezza il suo credo di fronte al Sultano d’Egitto. Siamo lontani anni luce dallo stupore creativo, che il “nostro” Zeffirelli seppe magistralmente disegnare sul volto di Innocenzo III, il quale non esitò a riconoscere nel frate – che con tenacia si era finalmente imposto alla sua attenzione – l’originaria vocazione della Chiesa e dei suoi uomini migliori, intuendone la carica rigenerativa fino a corrispondere al sogno del Santo di Assisi cui sostanzialmente affidò la riedificazione del tempio.

In una prospettiva comunque di fiducia per la fede cristiana, auguriamoci che le descritte impressioni possano essere smentite dagli orizzonti più vasti di una religiosità vera e autentica, quando svanirà, se una buona volta svanirà, il gossip imposto dal consumismo mediatico.

Intanto lo Spirito Santo ha ancora una volta fatto un buon lavoro, dimostrando che nella Cappella Sistina è davvero a suo agio.

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