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Misteri e realtà nella contesa India-Italia

Ho seguito con interesse l’articolo “Monti, l’India e i Marò” del dottor Padoin pubblicato su FirenzePost del 15 marzo. Da lettore vorrei poter commentare e aggiungere alcune personali opinioni.

1) Mancare alla promessa di rientro è incomparabilmente meno grave degli altri quattro aspetti che purtroppo hanno già pesato e molto condizionato il fatto: a) ignorare gli accordi sul diritto internazionale per le acque territoriali, b) invitare con l’inganno la nave ad entrare nel porto indiano, c) mancata creazione del tribunale speciale, come promesso e come dovuto essendosi il tribunale del Kerala dichiarato non competente, d) invalidare l’immunità diplomatica dell’ambasciatore.

Inoltre questi fatti, di matrice indiana, sono precedenti e causa della decisione italiana per il non rientro.

2) L’impegno preso dal nostro Ambasciatore non è stato disatteso da lui, ma dal governo italiano (e per questo si rimanda a quanto detto sopra). Mai l’ambasciatore avrebbe potuto agire per il non rientro “unilateralmente” contro decisioni governative italiane. In questo modo credo sia da intendersi il suo impegno: “non opererò alcunché per il non rientro purché ciò non sia in collisione o contrario al mio governo”. O si pensa che avrebbe dovuto (o potuto!) opporsi al governo italiano o ai suoi superiori?

Quindi l’Ambasciatore non è “intrinsecamente” responsabile; forse è stato messo di fronte al fatto compiuto come la corte indiana; perciò le autorità indiane non ci si possono attaccare come ad una preda in ostaggio. Mi sembra che con lui in mano, di legalmente rilevante non hanno niente: è come se avessero imprigionato, per pura ritorsione, un cittadino italiano innocente qualsiasi (peraltro con l’aggravante del vulnus verso l’immunità diplomatica).

Mi viene da pensare: che vuol dire la signora Sonia Gandhi, quando parla di usare “ogni mezzo” per far rientrare i marò? Se l’Ambasciatore riuscisse a lasciare l’India, si comincerebbe a bloccare residenti o turisti italiani?

3) L’India è esplosa di indignazione. Ma cosa dovrebbe dire l’Italia che soffre, marò e popolo italiano, l’ingiustizia delle acque territoriali e l’ingiustizia del rientro in porto con l’inganno da oltre un anno? Signora Sonia, italiana di Torino, questi non sono “tradimenti”?

4) Sono anziano ed ho vissuto molto: vado oltre con qualche ipotesi, magari estremizzando un po’. A pensare male si fa peccato….. Mi chiedo: ma, in ultimissima analisi, perché l’India non vuole assolutamente il processo in Italia, come il dispositivo di Vienna concede ed anzi richiede? Possibile che non abbia fiducia nemmeno negli organi giuridici e giurisdizionali internazionali, concessione che pure l’Italia farebbe, a mio avviso non dovuta ma, pure “pro bono pacis”?

Qualcosa non torna. Non sarà magari il timore che salti fuori qualcosa di strano sui pescatori, che dispiacerebbe all’orgoglio nazionale indiano? In fondo i misteri sono ancora molti: le procedure di avvertimento dei marò, il persistente avvicinamento dei pescatori, le analisi balistiche alle quali i nostri esperti non sono stati ammessi, sparatorie avvenute in momenti precedenti a quella contestata, e molti altri ancora. Il comportamento e le modalità dell’indagine finora sono stati tali perché l’Italia, oggettivamente, si possa ulteriormente fidare ed alla cui correttezza possa dar credito? Una corte internazionale, specialmente aperta al coinvolgimento (quanto meno informativo) delle parti, approfondirebbe ogni minimo dettaglio. Non vi sarà il timore che tali approfondimenti potrebbero addirittura eliminare le ragioni per un processo già in sede istruttoria?

Conclusioni:

L’espressione della signora Sonia Gandhi “nessuno sottovaluti l’India”, psicologicamente, sembra denotare una prevalenza dell’orgoglio (magari comprensibile) sul desiderio di perseguire la verità dei fatti. Nessuno vuole “prevaricare” sull’India, né sarebbe possibile; ma calpestare il diritto internazionale non mi sembra il modo migliore per evitare quella temuta “sottovalutazione”. In fondo l’India ha fatto, o dovrebbe aver fatto sue anche le migliori tradizioni civili anglosassoni.

L’India si calmi e valuti con la saggezza dei suoi diecimila anni di civiltà questo piccolo “atto compiuto”, peraltro solo successivo nel tempo ai suoi molti atti (nel caso specifico) al di fuori dalle civili leggi. In fondo i marò svolgevano un servizio prezioso di difesa di legalità e di libertà non solo per l’Italia, ma per il mondo, ed anche per l’India stessa. E, onestamente, non si può pensare che si divertissero a sparacchiare su inermi bersagli umani.

I rapporti fra India ed Italia sono sempre stati buoni. Manteniamoli ancora così , ma nel solco dell’osservanza rigorosa delle leggi internazionali, per stilare le quali sono stati spesi secoli di sofferenze, guerre e lotte mortali contro i più feroci fanatismi.

Ing. Piero Salmi – Montevarchi

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