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Il ministro suona la ritirata

Il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata (il doppio cognome non è raro nella carriera diplomatica) ha gettato la spugna e ha annunciato le sue dimissioni. “Non posso più far parte di questo governo – ha detto ieri alla Camera – perché le riserve da me espresse sul rientro dei Marò in India non hanno prodotto alcun effetto visto che la decisione è stata un’altra”. Non c’è motivo di dubitare delle sue parole, ma qui qualcosa – ancora una volta – non torna.

E’ una questione di numeri. La decisione di rispedire in tutta fretta i Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è stata – come riportato dalle fonti ufficiali – del Cisr, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, il massimo organo di vertice politico della nostra “intelligence”.

Alla riunione del 21 marzo, hanno partecipato nove persone: il presidente del consiglio Monti, i ministri di affari esteri (Terzi), interno (Cancellieri), difesa (Di Paola), giustizia (Severino), economia e finanze (Grilli), sviluppo economico (Passera). Con loro i sottosegretari alla presidenza del consiglio (Catricalà) e alla sicurezza (De Gennaro).

Se Terzi, come dice, era contrario, chi era allora favorevole a rispedire alla giustizia indiana i nostri marò? Il ministro della difesa, marinaio e fino a febbraio 2008 capo di stato maggiore della Difesa? Un ammiraglio che di fatto – nonostante sue precisazioni di segno opposto -abbandona i suoi marinai? Sarebbe da corte marziale.

Il ministro della giustizia, dicastero che per primo è chiamato in causa quando si evoca (da sempre) la competenza italiana a giudicare la colpevolezza o meno dei nostri due militari? Poco plausibile.

Il ministro dell’interno? Poco incline a prendere posizione, specie quando non ci sono di mezzo appartenenti alla propria amministrazione.

Il ministro dello sviluppo economico e dell’economia e finanze? Possono aver fatto pesare sul piatto il rischio di ritorsioni economiche nell’immediato, rimandando il tutto ad una soluzione diplomatica, competenza però altrui.

Il sottosegretario alla presidenza di norma fa il “segretario” della riunione e non prende posizione. Quello alla sicurezza ha, almeno sulla carta, un quadro operativo più completo, ma conta per uno.

Ma allora chi ha deciso il tutto e ha voluto rispedire indietro i marò? Non resta che Monti, che forte del peso con i suoi ministri li ha convinti a non mettersi di traverso. Sta di fatto che c’è voluta la forte presa di posizione (“è tutta una farsa”) dell’attuale capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Binelli Mantelli, per far venire allo scoperto i ministri. Chi non era d’accordo, Terzi per primo, perché non si è dimesso il 21 marzo, anzichè farlo dopo o restare?

Ora, dopo mesi di assordante silenzio, Di Paola parla “di aver sempre agito e di essermi sempre battuto solo per il bene dei due fucilieri di marina e dell’Italia”. E, con il ministro Terzi dimissionario accanto, dice che ora “sarebbe facile annunciare di rimettere il mio mandato, lasciare la poltrona, fare forse quello che tutti nel mondo militare si aspetterebbero, ma non sarebbe giusto e non lo farò”.

Sullo sfondo la figura del presidente Napolitano e del presidente Monti – entrambi prossimi a traslocare – che, sulle dimissioni di Terzi, dicono di cadere dalle nuvole e di non essere stati preventivamente informati.

Oggi Monti interverrà alla Camera e al Senato: non resta che sentire che anche lui non c’entra ed il quadro sarebbe davvero completo.

Una fine davvero ingloriosa quella dei tecnici al governo, l’uno quasi contro l’altro in una gara a tirarsi indietro. Il pensiero corre a quelle truppe che risalirono “in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, come recitava il bollettino della vittoria italiana alla fine della prima guerra mondiale. Con la differenza che qui non c’è nessuna vittoria, ma solo una disfatta. E speriamo solo politica.


Sandro Addario

Giornalista

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