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Il cardinale Giuseppe Betori (foto Riccardo Sanesi)

Betori: “La Pasqua giunge come l’annuncio che ciò è possibile”

Il cardinale Giuseppe Betori davanti al sagrato del Duomo di Firenze
Il cardinale Giuseppe Betori davanti al sagrato del Duomo di Firenze (foto Riccardo Sanesi)

All’inizio di questa notte santa, la luce del cero pasquale, simbolo di Cristo risorto, ha illuminato la nostra assemblea e nel canto abbiamo proclamato con gioia:

«Esulti il coro degli angeli,

esulti l’assemblea celeste:

un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto.

Gioisca la terra inondata da così grande splendore:

la luce del Re eterno

ha vinto le tenebre del mondo. […]

Questa è la notte

In cui Cristo, spezzando i vincoli della morte,

risorge vincitore dal sepolcro» (Preconio pasquale).

Dopo aver ascoltato questo annuncio, abbiamo ripercorso alcuni tratti della storia di Dio con gli uomini. Troppo forte era infatti quella parola – i vincoli della morte sono stati spezzati, Cristo risorge vincitore dal sepolcro – per non generare dubbi nella nostra mente: è cosa davvero possibile? Quale supporto ci è dato per un annuncio così inaudito? Si tratta di un’illusione oppure di una speranza ben fondata?

A grandi tappe la liturgia ha voluto mostrarci che il volto misericordioso di un Dio che non abbandona il proprio Figlio nelle braccia della morte non ci era sconosciuto, ma corrispondeva a quel Dio che dalle origini del mondo si era chinato con costante sollecitudine sulle necessità degli uomini e delle donne, anche quando questi si allontanavano da lui. Abbiamo iniziato dall’atto stesso della creazione, con cui Dio porta all’esistenza un mondo da amare, e poi abbiamo attraversato le vicende del popolo che egli si è scelto per mostrare a tutta l’umanità la fedeltà del proprio amore, cominciando dalla chiamata e dalla prova di Abramo e continuando con i prodigi che hanno accompagnato la liberazione di Israele dalla schiavitù, per giungere all’intreccio tra infedeltà del popolo e tenace dedizione di Dio, nella prospettiva di un patto, un legame nuovo che cambiasse il popolo fin nel cuore. Una lunga storia, con cui Dio aveva preparato il mondo al dono supremo, quello del suo stesso Figlio, che nel mistero della morte e risurrezione, come ha ricordato l’apostolo Paolo, ha dischiuso di fronte a ogni uomo e ogni donna che accettano di farsi suoi discepoli l’orizzonte di una vita davvero nuova, libera da ogni schiavitù e capace di esprimersi in pienezza e per sempre.

La salda e incrollabile fedeltà di Dio e del suo amore è ciò che ci permette di accogliere l’annuncio della risurrezione di Cristo non come qualcosa di inverosimile, di assurdo, ma al contrario come un fatto che corrisponde con coerenza al volto che Dio ha sempre mostrato di sé lungo la storia.

Non ci meraviglia pertanto se il racconto dei primi fatti che accadono dopo la risurrezione del Signore non pongano al proprio centro il sepolcro vuoto, pur muovendo da esso: «Al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro […]. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù» (Lc 24,1-3). Che il sepolcro sia vuoto è, anche per l’evangelista Luca, un fatto essenziale: ma da solo non spiega nulla, in quanto può aprirsi a contrastanti spiegazioni. E neppure sembra decisiva l’apparizione di due uomini «in abito sfolgorante» che si rivolgono alle donne impaurite con queste parole: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è risorto» (Lc 24,5-6). Parole importanti, perché orientano nella giusta direzione lo stupore delle donne di fronte al sepolcro vuoto, ma che potrebbero essere spiegate con il voler dare corpo a un desiderio, il frutto di «un vaneggiamento», come insinuano gli stessi apostoli, che non si lasciano convincere da esse (Lc 24,11). Anche Pietro, che pur corre a sincerarsi del sepolcro vuoto, non va oltre lo «stupore per l’accaduto» (Lc 24,12).

A cambiare le cose può essere solo l’accoglienza delle ulteriori parole dei due uomini al sepolcro, là dove essi ricordano alle donne che quanto è accaduto era stato predetto da Gesù: «Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”» (Lc 24,6-7). È l’intera vicenda di Gesù di Nazaret, sono le parole con cui egli l’ha interpretata e offerta ai discepoli, che vanno ora riprese nella mente e nel cuore, per comprendere come Colui che aveva vissuto la propria vita tutta nella fedeltà dell’amore, fino a consegnarla ai peccatori, quali noi siamo, non poteva essere stato vinto dalla morte, ma ha compiuto il proprio itinerario di dono di sé fin dentro la morte per uscirne vittorioso nella risurrezione, come aveva predetto. L’ascolto della parola di Gesù e lo sguardo della fede ci permettono di riconoscerlo come il vivente, perché la sua risurrezione è l’espressione di un amore fedele, che non ci lascia nella morte, ma ci conduce a piena libertà, aprendo un orizzonte nuovo al futuro dell’umanità tutta. La storia e la parola di Gesù, come prima ancora la storia e la parola del Padre, ci aiutano a leggere il sepolcro vuoto non come un’assenza ma un modo nuovo di presenza, mediante la quale Gesù diventa fondamento di speranza per tutti.

In questo risiede l’annuncio della Pasqua: la vita non è condannata alla negatività e alla morte, ma, in Cristo, a ciascuno di noi è data la possibilità di fare nuove tutte le cose, di aprirsi a un futuro di libertà e di pienezza di vita. È un annuncio che, come insiste Papa Francesco, dobbiamo essere capaci di portare oggi alle periferie, alle frontiere problematiche dell’umanità di oggi. Sono molte e varie queste periferie. Permettete che ne richiami alcune alla responsabilità di tutti. Penso a tante nostre famiglie, sfilacciate nei loro affetti, logorate nella loro stabilità, sconvolte nella loro identità. Penso ai nostri giovani, cui la società oggi spesso chiude prospettive credibili di futuro, negando loro la possibilità di un lavoro e quindi di formarsi una famiglia. Penso alle molte povertà, antiche e nuove, a cui le nostre organizzazioni caritative faticano a dare risposte adeguate. E non posso dimenticare quanti vedono oggi minacciato il proprio lavoro da una crisi economica e sociale rovinosa e chiedono di essere presi in considerazione come una dovuta priorità.

Molte sono le situazioni di emarginazione che richiederebbero un più attento intervento da chi può e deve responsabilmente farlo. Tra esse voglio qui ricordare la situazione disumana delle nostre carceri, in cui la dignità della persona è cancellata e la funzione punitiva prende il sopravvento su quella redentiva: una situazione non degna di un paese civile e che dovrebbe essere ai primi posti nelle preoccupazioni di chi governa. Ma inquieta gli animi la stessa involuzione della politica, mentre assistiamo attoniti allo scontro violento fra fazioni e interessi di gruppo, invece che all’auspicato lavoro per la necessaria ricerca del bene comune.

Tutti sentiamo il bisogno di novità nella vita personale e sociale. La Pasqua giunge come l’annuncio che ciò è possibile. In Colui che ha vinto la morte è offerto il principio di un uomo nuovo e di un mondo rinnovato, che può liberarci da ogni schiavitù e da ogni degenerazione. Morire con Cristo alla falsa immagine di noi stessi, ci permette di risorgere con lui, perché «la morte non ha più potere su di lui. Infatti, egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6,9-11).

Giuseppe card. Betori

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