“Maresciallo mi aiuti, quell’uomo mi perseguita”
FIRENZE –“Maresciallo mi aiuti, quell’uomo mi perseguita. È una vita d’inferno, ho paura di tutto”. Comincia così, con fatica, la storia di Anna che trova la forza di varcare la soglia della stazione dei carabinieri del suo paese, nel cuore del Mugello. Una vicenda di stalking come tante altre decine, centinaia in Toscana, migliaia in tutta Italia. Ma per Anna è la “sua” vicenda, quella che l’ha costretta a cambiare abitudini di vita e a guardarsi spesso alle spalle quando cammina per strada.
Stalking, dal termine inglese usato nelle attività venatorie, che si traduce letteralmente in “fare la posta”. Come un cacciatore alla ossessionante ricerca della sua preda.
“Se non fosse per il nostro bambino sarebbe tutto diverso” comincia Anna mentre il maresciallo la fa entrare nella sua stanza chiudendo la porta. “Finora mi sono trattenuta, ho aspettato due anni nella speranza che dopo la fine della nostra storia lui capisse. Ma non è stato così. Telefonate interminabili, messaggi, pedinamenti”. Il maresciallo la fa parlare, Anna ha bisogno finalmente di sfogarsi. “E’ stata minacciata?” le chiede. “Tante volte, specie quando mi imponeva di non portare il bambino ai giardini, in parrocchia, neppure in paese per una passeggiata. Ed io obbedivo per paura che gli potesse fare del male”.
“Signora – le spiega il maresciallo – finché non trova la forza di denunciarlo per molestie continuate noi non possiamo intervenire. Capisco benissimo il suo stato d’animo. Il consiglio che le posso dare è di chiamarci subito al 112 o anche in caserma quando avesse paura di trovarsi in pericolo per l’incolumità sua o di un suo congiunto”.
“Posso avere il suo cellulare per favore?”. Il comandante della stazione accenna un sorriso, anche d’incoraggiamento: “Non sono molti quelli che ce l’hanno, ma se le serve eccolo qua. Mi chiami pure. Se non dovessi rispondere chiami il 112”. “Non dubiti – risponde la donna trovando la forza di un sorriso anche lei – a me basta sapere di averlo e basta”.
“C’è un altro numero telefonico che può esserle altrettanto utile. E’ il 1522”. “Non lo conosco, cos’è?”. “Lo cerchi anche su Internet, è il numero di pubblica utilità della Rete nazionale antiviolenza. E’ attivo gratis 24 ore su 24. Le operatrici potranno fornirle indicazioni utili anche indirizzandola verso i servizi socio-sanitari che operano in questa zona e che potrebbero aiutarla anche sul piano psicologico”.
“E se non basta?”. “Prima ci provi, poi se necessario interviene la legge”. “Lo arrestate vero?”. “Piano. Ci sono due possibilità. Il suo persecutore – posso chiamarlo così ? – potrà ricevere, su sua richiesta, un ammonimento del Questore a desistere dalla sua condotta. Se non ottempera, la macchina non si ferma e dovremo procedere d’ufficio, denunciandolo penalmente. E’ il sistema più ‘morbido’ che tende, quando possibile, a circoscrivere il caso ed evitare lo stress per tutti di un processo penale”.
“E l’altra possibilità?”. “Che lei si faccia coraggio e, con le prove necessarie, denunci direttamente il suo persecutore, come previsto dall’articolo 612 bis del codice penale. Se riconosciuto colpevole rischia fino a quattro anni, salvo aggravanti”.
Qualche giorno dopo Anna telefona alla caserma. “Grazie maresciallo. Ora ho meno paura di prima. Non sarà facile decidere, ma so ora cosa posso fare. Volevo solo dirle che lui mi ha visto uscire dalla caserma l’altra sera, e dal quel momento non si è più fatto vivo. Speriamo bene”.
Nel 2012 in tutta la Toscana sono state 370 le persone denunciate dai Carabinieri per atti persecutori, 50 arrestate e 31 proposte per l’ammonimento del questore.
“Il compito degli operatori di polizia – dice il capitano Lanfranco Disibio, comandante della compagnia Carabinieri di Borgo San Lorenzo (Firenze) – non si limita all’accertamento di un fatto delittuoso. Vengono messe in atto anche tutte quelle attività di supporto alla vittima di uno stalking, volte a evitare la cosiddetta ‘vittimizzazione secondaria’: come le ulteriori sofferenze cui possono essere soggetti le vittime qualora riscontrino insufficiente attenzione e sensibilità al loro problema e tendano pertanto a chiudersi ancora di più in se stesse. In questo è necessario mantenere un raccordo professionale e di cooperazione tra tutti i soggetti attivi che possono essere di aiuto alle vittime: dalle strutture di assistenza comunali o di volontariato al medico di famiglia, dagli ospedali ai centri antiviolenza e allo psicologo, dalla magistratura alle forze di polizia”.
“É fondamentale – prosegue Disibio – riuscire a creare una corrente di empatia con la vittima, persona sicuramente vulnerabile e non di rado reticente, anche trovando l’interlocutore più adatto a seguirla e ottenerne fiducia. Un intervento inopportuno e intempestivo verso il presunto ‘stalker’ potrebbe infatti esporre la vittima a rischi inutili”.
“Molte persone vengono da noi – conclude il comandante della compagnia Carabinieri – anche solo per chiedere informazioni e capire cos’è lo stalking, di cui spesso hanno solo sentito parlare. Non ci stanchiamo di ripetere che elementi fondamentali sono le molestie o minacce reiterate nel tempo e non episodiche. Come pure il conseguente stato di ansia e paura che costringa la vittima a modificare le proprie abitudini di vita. La singola minaccia, percossa o violenza sono sempre reati, ma non sono stalking”.
In quel momento sta uscendo da una stanza della caserma di Borgo San Lorenzo, Gabriella, una signora quarantenne che è venuta a ringraziare i Carabinieri per quanto hanno fatto per lei. “La mia storia può sembrare incredibile – ammette – ma è purtroppo vera. Per ben venti anni, sì proprio venti, ho subito continue violenze domestiche e abusi da mio marito. Riconosco di essere stata debole ma ho subito tutto in silenzio per paura che facesse del male ai nostri due figli. Nei primi anni di convivenza tenevo in braccio di notte la bambina per paura che piangesse e lui la picchiasse per farla smettere”.
“Un’odissea per tanti anni – racconta Gabriella – dove mi sentivo sola e incapace di reagire. Avevo perso anche amici e conoscenti, che non mi telefonavano più. Il paese dove abitavo è piccolo. Cercavano di scansarmi”. Finalmente uno spiraglio. “Mi hanno aiutato le colleghe di lavoro che notavano spesso lividi in faccia. Ho avuto la forza di aprirmi con loro e sono riuscita così a trovare il primo conforto in un centro di assistenza antiviolenza, che ho frequentato di nascosto prima di tornare a casa la sera dopo il lavoro”.
Determinante poi l’incontro con il maresciallo dei carabinieri del suo paese. “Mi ha aiutato a trovare la forza di reagire. Una mattina, davanti all’ennesima percossa senza testimoni, me la sono vista davvero brutta e sono corsa dai carabinieri. Ho chiesto di aiutarmi a uscire di casa, altrimenti mi ammazzava. Mi hanno accompagnato a riprendere le mie poche cose per poi portarmi in un luogo sicuro”.
Un arresto, un processo, una condanna. “Ora vivo lontano dal mio paese, la mia vita è cambiata, posso addormentarmi tranquilla accanto a mio figlio. Spero solo che tante donne non facciano il mio stesso errore e che soprattutto trovino la forza di reagire subito”.