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Quirinale, il j’accuse renziano al duo Monaci-Marini

Secondo la legge della dinamica ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. In politica, questo non sempre è vero, spesso si privilegiano “vendette” da servire fredde. Oppure, come nel caso di Matteo Renzi, è vero al quadrato, se non al cubo. E alle sottili trame si preferisce utilizzare il bulldozer. Prendiamo il caso dell’esclusione del sindaco di Firenze dal novero dei grandi elettori per la presidenza della Repubblica, che da giovedì insieme ai parlamentari si riuniranno in seduta comune a Roma. E prendiamo gli ultimi attacchi del rottamatore a Franco Marini.

Che cosa è successo veramente? Tutto comincia con uno stato di salute un po’ acciaccato del presidente del consiglio regionale, il seneseAlfredo Monaci. Che oltretutto da mesi è in rotta con il Pd per aver affossato (con i consiglieri comunali che fanno riferimento a lui) Franco Ceccuzzi da sindaco Pd di Siena. I renziani non vorrebbero farsi scappare l’occasione. Quale miglior vetrina per il sindaco di Firenze se non quella di andare a Roma per eleggere il prossimo capo dello Stato?

Renzi avrebbe potuto guidare direttamente la pattuglia (pare anche rafforzata negli ultimi giorni) di “suoi” parlamentari, avrebbe potuto dialogare in Transatlantico con tutti i più influenti giornalisti, avrebbe potuto fissare appuntamenti nei talk show e nelle trasmissioni d’intrattenimento. Con una settimana-dieci giorni di elezioni a Roma, i suoi stimano che avrebbe guadagnato almeno 5-6 punti di consensi.

E invece alla fine tutto sfuma, perché poi Monaci non sta così male, perché il gruppo Pd (in maggioranza bersaniano) annusa il trappolone e perché alla fine per chi fa politica da una vita, come Monaci, è difficile rinunciare a quello che è un vero privilegio, politico s’intende: concorrere a eleggere il prossimo capo dello Stato.

Le cronache ci dicono che l’acceso scontro nel gruppo regionale Pd è finito 12 consiglieri per Monaci e 10 per Renzi. Il sindaco resta a casa, ma la partita per lui non è terminata. Come dimostrano le ultime interviste del rottamatore. E così restituisce lo schiaffo del Pd in modo amplificato.

Alfredo Monaci, da una vita, è il referente toscano di Franco Marini. Dunque, perché prendersela con un colonnello locale quando si può colpire in alto? Il bersaglio è proprio lui: quel Marini che compirà 80 anni il prossimo aprile, da 20 in Parlamento, che alle ultime elezioni non è riuscito a passare. Colpa del magro risultato dei democratici: in Abruzzo, la terra di Marini, il partito non è riuscito a far scattare il secondo posto nel listino del Senato.

Il sindaco non si lascia scappare l’occasione: “Due mesi fa Marini si è candidato al Senato della Repubblica dopo aver chiesto (e ahimè ottenuto) l’ennesima deroga allo Statuto del Pd – scrive in una lettera a La Repubblica -. Ma clamorosamente non è stato eletto. Difficile, a mio avviso, giustificare un ripescaggio di lusso, chiamando a garante dell’unità nazionale un signore appena bocciato dai cittadini d’Abruzzo“.

Parole che scatenano una ridda di reazioni e poi ancora reazioni alle reazioni. Certo, se si guardano solo i numeri delle elezioni, l’affermazione di Renzi appare francamente eccessiva. Il Pd – come lo stesso Renzi ha più volte ribadito nelle sue interviste – ha avuto uno scarno risultato non solo in Abruzzo, ma in quasi tutta Italia. Insomma, attribuire il flop alla presenza di Marini al secondo posto della lista, sembra una lettura alquanto superficiale. Ma anche estremamente utile in questo frangente, per colpire il duo Monaci-Marini.

E così se gli attacchi di Renzi a Rosy Bindi o Anna Finocchiaro sono un refrain classico del suo repertorio,già sperimentati durante le primarie per la premiership, quelli a Marini (una figura che per orientamento politico non è lontana da Renzi, ma proprio per questo più pericolosa dal suo punto di vista) sono un’autentica novità. Anche perché nel Pd qualcuno scommette sul fatto che se Renzi fosse stato fra i grandi elettori quello stesso Marini sarebbe stato uno dei candidati visti con maggior interesse proprio dai renziani. E la battaglia per il Quirinale è appena cominciata.

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