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Repubblica presidenziale, atto secondo

Tutti (o quasi) entusiasti per il discorso di insediamento di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica per il suo secondo mandato. Nulla da eccepire sulla sostanza ed il tono usati.

In pratica il capo dello stato ha detto alla classe politica: “Non siete stati capaci di riformare l’Italia, e ora venite a chiedere aiuto a me, che dopo tanti anni avrei anche diritto di mettermi a riposo”. Uno dei passaggi più forti e applauditi è stato quel “… se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese”.

E qui sta il punto che forse taglia più netto rispetto al passato. Conseguenze? Quali? Le dimissioni? Non pare proprio. Napolitano, per sorte o per volontà, sta spingendo l’Italia verso la repubblica presidenziale. Il primo atto è stata la creazione di un governo “tecnico” formato totalmente da membri non eletti dal popolo, a cominciare dal presidente del consiglio. Tutti gli uomini del presidente insomma, non quello che sta a palazzo Chigi, ma quello che “regna” dal colle più alto. Mai come in questi ultimi tempi, le convocazioni o i semplici incontri tra capo dello stato ed esecutivo sono stati stretti e continui.

Ma il governo tecnico non va e, dopo poco più di un anno, naufraga tra le sue contraddizioni e i veti incrociati. In non pochi casi il “tecnico” getta la maschera ed esce il suo vero volto, quello del politico alla ricerca di un futuro. Per sé stesso naturalmente.

Si arriva alle elezioni, anzi alle doppie elezioni: quelle del parlamento e dopo meno di due mesi a quelle del capo dello stato. Ma i veti incrociati continuano e paralizzano di fatto la vita pubblica. Vuotano le tasche dei cittadini e fanno aumentare la rabbia.

A questo punto tutti chiedono aiuto a “Re Giorgio”, con buona pace dei rottamatori ed affini, compreso coloro che vogliono – a parole – vedere volti nuovi in giro. A quasi 88 anni Napolitano poteva dire: “Arrangiatevi”. Invece resta e si fa rieleggere al Quirinale per la seconda volta. Senso di responsabilità verso le istituzioni, si dirà. Senza dubbio, ma nel frattempo comincia la repubblica presidenziale atto secondo.

Chi sarà quel presidente del consiglio, se e quando ce ne sarà uno con i pieni poteri, che se la sentirà di non pendere dalla bocca del capo dello stato? Che prima che con il Parlamento non si consulterà con il Quirinale, relegando di fatto – ancora una volta – la figura degli eletti alle Camere a meri esecutori?

Se questo è davvero lo scenario verso cui ci stiamo avviando, allora è molto meglio che si cambi davvero la costituzione, con un capo dello stato eletto dai cittadini. Di una repubblica presidenziale di fatto, senza alcun avallo degli elettori ma decisa nelle stanze del potere, preferiamo volentieri farne a meno. Chiunque ci sia a guidarla.


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Sandro Addario

Giornalista

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