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La certezza della pena non è una virtù

E così i carabinieri – è notizia di pochi giorni fa – hanno assicurato alla giustizia tre cittadini albanesi ritenuti responsabili dell’omicidio di don Mario Del Becaro, parroco di Tizzana sulla collina pistoiese, avvenuto alla fine dello scorso dicembre. Si tratta ovviamente di autori presunti, fino a quando il procedimento penale non si concluderà con una sentenza definitiva. Ma la sensazione è quella di leggere un copione già noto, secondo uno schema purtroppo ricorrente sullo scenario delle nostre quotidiane cronache locali e nazionali. L’evento si presta pertanto ad alcune considerazioni molto semplici, del tipo di quelle che una volta venivano attribuite al cosiddetto uomo della strada.

Primo. Questi soggetti che vivono in parte o in tutto con i proventi dei delitti, prima o poi incappano nella rete delle forze di polizia le quali, nonostante l’ elevato tasso di criminalità odierno, riescono a trarre in arresto, in flagranza o al termine di efficaci attività investigative, la gran parte di coloro che si dedicano ai reati.

Secondo. I soggetti cui sono inequivocabilmente ascritti i crimini dovrebbero rimanere rinchiusi negli istituti di pena. Così avviene oggi solo per le violazioni di gravissima entità. Per il resto pochi giorni di carcere sono anch’essi una rarità. Cronica insufficienza delle strutture di detenzione, ricorrenti amnistie ed indulti, normative le più garantiste, enorme carico di delitti di cui i magistrati si devono occupare con conseguenti prescrizioni: sono tutti elementi che favoriscono una situazione in cui la gran parte di coloro che hanno commesso illeciti penali, anche gravi, circolano liberamente sul territorio.

Ma al riguardo, sebbene i ricordati elementi oggettivi abbiano la loro innegabile rilevanza, si ha la sensazione che perduri, forse rafforzato, un certo obbligo alla comprensione, che è patrimonio culturale di una certa casta tuttora dominante e decisiva per l’elaborazione delle più importanti scelte politiche e legislative. L’evidenza dei fatti non scalfisce la supponenza dei depositari esclusivi di talune verità ideali che, insieme a coloro che nella manodopera criminale continuano ad intravedere una risorsa per improbabili rivolgimenti sociali, condizionano in modo determinante sia il quadro normativo sia le prassi operative.

Terzo. I soggetti di nazionalità straniera che delinquono, qualora non si possa mantenerli in regime di detenzione, dovrebbero essere concretamente e prontamente espulsi. Altro non è ammissibile, specie per il motivo che costoro sono per lo più ben noti e costituiscono minoranze di talune ben individuate etnie, che peraltro sono le prime danneggiate dai loro appartenenti dediti ai reati. Ogni assenza di rigore al riguardo non può che moltiplicare l’afflusso di elementi pericolosi e l’incremento delle attività criminali, come purtroppo le cronache puntualmente evidenziano.

Quarto ed ultimo punto che poi è solo un quesito. Vogliamo chiedere se a livello politico ed istituzionale esiste la reale percezione di tali problematiche e se è presente una tangibile volontà e capacità di affrontarle, senza lasciare solo alla magistratura e alle forze di polizia il compito di adoperarsi in merito? La risposta ci pare possa essere sfortunatamente assai poco ottimistica.

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