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Il lavoro di cercare lavoro

Si parla, ormai da anni, di fuga dei cervelli all’estero. Un’emorragia difficile da arrestare soprattutto considerando i tassi di disoccupazione che, mai come quest’ultimo periodo, stanno toccando vette elevatissime e preoccupanti. Mi sono sempre chiesta, soprattutto prima di terminare gli studi universitari, come fosse la giornata tipo di un giovane che si affaccia per la prima volta sul complesso e difficile mondo del lavoro.

Per non tediarvi con un argomento ormai all’ordine del giorno ed evitare qualsiasi tipo di scoraggiamento collettivo, parliamo di fasi. L’ elenco seguente ricama un quadro che rasenta la realtà: sveglia ad un orario che sia socialmente ed umanamente accettabile, colazione abbondante per affrontare, nel modo più salutare possibile, le lunghe e a tratti interminabili ore impiegate ad inviare CV e – dulcis in fundo – una tazza di caffè, meglio se americano dunque allungato, per alleviare l’agonia degli ‘n’ click al secondo. Sì, perchè cercare lavoro è esso stesso un lavoro. L’obiettivo è: mandare quanti più curricula possibili fin quando i polpastrelli delle dita non ‘gridano’ vendetta.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che il rapporto che intercorre tra il candidato e l’ipotetica azienda si risolva, nella maggior parte dei casi, in “grazie, al momento non abbiamo bisogno di nuovo personale” o in “se vuole le diamo la possibilità di fare uno stage”. Risposte che rispecchiano il periodo storico, povero di opportunità, che stiamo vivendo.

Con l’aggravante, spesso e volentieri, della richiesta da parte del datore di lavoro di un’esperienza magari decennale. Un paradosso di fatto. L’esperienza vuole infatti che il candidato riesca quantomeno a varcare la soglia di un’azienda e provare a restarvi a lungo. Quasi un’utopia per i giovani d’oggi alla ricerca di occupazione che arrancano tra contratti a progetto e collaborazioni stentate. Ecco, dunque, che la domanda sorge spontanea: bypassare il sistema e fuggire all’estero o restare e vivere mesi, in qualche caso anni, all’ombra dello spettro della disoccupazione?

Perchè, sarà pur vero che l’esperienza è sacrosanta ma è sacrosanto anche il diritto di avere l’opportunità di fartene una. Allora, forse, quello che realmente occorre sono, non solo misure più concrete che affossino un sistema marcio e aggrappato a continui e improduttivi escamotage – vedi i contratti a progetto e la nuova riforma Fornero – ma anche formazione di qualità. Se non altro per dare una risposta ai tanti giovani ai quali – non tanto tempo fa – è stato detto: “studia e riuscirai nel lavoro”.

Di certezze al giorno d’oggi ce ne sono poche davvero. Le opportunità si sono assottigliate, forse anche la voglia di credere che le cose possano migliorare. Non c’è dubbio alcuno, però, sul fatto che la battaglia che stiamo combattendo è prettamente culturale. L’ impoverimento di ideali e di conoscenza d’altronde è palese; all’orizzonte non c’è alcuna risposta concreta per chi si chiede quando questo momento storico finirà. Creare strumenti e alternative valide per affrontare la sfida della precarietà, sembra essere l’unica soluzione. Banale? Può darsi. Sta di fatto che da anni regna la stessa situazione. Scoraggiante. Continuando di questo passo, il rischio è che l’unico lavoro che le nuove generazioni si ritroveranno a fare sarà, non a caso, continuare a cercare lavoro.


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stefania ressa

Giornalista

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