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Il peso della memoria

Memoria collettiva. Memoria condivisa. Memoria dolorosa. Ma comunque memoria. Che non si limita alla categoria del ricordo, ma in quanto memoria diventa identità di una comunità, diventa parte viva della storia sofferta di un Paese. Questo è il desiderio implicito che alimenta l’annuale partecipazione dei familiari delle vittime del terrorismo alla Giornata della Memoria del 9 maggio.

Una ricorrenza istituita per legge ma soprattutto vissuta giorno dopo giorno da coloro che hanno sofferto in famiglia uccisioni, aggressioni, agguati, durante i cosiddetti “anni di piombo” del terrorismo rosso e nero, o durante le stragi di mafia che ancora possono costituire una minaccia incombente in larghe parti del nostro Paese.

Ma esiste realmente ancora una memoria collettiva sul terrorismo e sulle stragi di mafia?

Può rimanere viva e feconda di nuove e ricche espressioni di pacifica convivenza una tale memoria sul terrorismo in un Paese che mostra sempre più spesso di perdere la memoria anche di se stesso?

Quanto vacuo disprezzo si è recentemente propagato in Italia in tanti aspetti di una lotta politica sempre più dominata da un impotente livore contro l’avversario e da un generico e affannato bisogno di nuovismo?

Quanta violenza potenziale si sta accumulando nel nostro Paese, alimentata anche da “utili idioti” in pieno servizio permanente ed effettivo?

Si ha l’impressione che tale memoria condivisa sul terrorismo, memoria che diventa identità e civiltà di un Paese, si possa progressivamente appannare con l’avanzare del tempo (come può essere anche nell’ordine naturale delle cose) e soprattutto con l’emergere di una classe dirigente del Paese che sembra figlia del nulla, che celebra ritualità che non sente vive, che parla ma non si appassiona, che presenzia ma al tempo stesso ignora.

La Giornata della Memoria non deve diventare solo l’espressione di una pietà, che pur è fondamentale in una società civile.

La memoria è vita, è impegno per il presente, è ammonimento per il futuro. La memoria parla alla coscienza e alla responsabilità della classe dirigente. Ma se i primi a spalmare l’ambiente circostante di verbale violenza provengono proprio dall’interno della classe dirigente, a lungo andare la memoria si appanna e gli anticorpi alla violenza si assottigliano.

Il terrorismo e la mafia hanno strappato al Paese e alle loro famiglie persone ed energie utili al nostro futuro. Le famiglie delle vittime sono riserve di coscienza civile e di senso del dovere da non avvilire.

Ecco perché rimane intangibile il bisogno di continuare a celebrare a Roma, nei palazzi delle istituzioni democratiche al cui sviluppo sono state sacrificate vite umane, la Giornata della Memoria per le vittime del terrorismo. Ed ecco perché sarebbe auspicabile la moltiplicazione nelle periferie del Paese di tali espressioni di memoria e di civiltà, continuando nello sforzo intrapreso di coinvolgere sempre più le scuole in questo percorso di civiltà.

Si può “voltare pagina” in molti modi. Si può sbianchettare il passato per non farne più un patrimonio collettivo. O si può scrivere una nuova pagina della nostra storia ricordando cosa è stato scritto (anche col sangue) nelle pagine precedenti. Noi preferiamo la seconda modalità.


Francesco Butini

Istituto di studi politici "Renato Branzi"

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