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Carlo Stroscia, presidente Aidp Toscana

Stroscia: “E’ il momento di investire su uomini e competenze”

Carlo Stroscia, presidente Aidp Toscana
Carlo Stroscia, presidente Aidp Toscana

FIRENZE – Carlo Stroscia, presidente Aidp Toscana: i direttori del personale di tutta Italia si riuniranno al teatro della Pergola di Firenze il 17 e 18 maggio per il loro congresso e per discutere del futuro delle risorse umane nel nostro Paese. Come mai la scelta di Firenze?

E’ prassi dell’associazione che un gruppo regionale, in alternanza, si faccia carico dell’organizzazione del congresso annuale. La Toscana mancava all’appello da una decina di anni. Restava la scelta sulla città, ma a questa, in verità, siamo arrivati dopo aver individuato la location, che per definizione e coerenza con il tema del congresso, è apparsa come destinata il Teatro della Pergola, per la sua storia plurisecolare caratterizzata da tanti momenti di crisi sempre affrontati e risolti attraverso azioni progettuali, l’ultima della quali appena qualche anni fa, come ben sanno i fiorentini.

Inoltre, la Pergola è una delle poche strutture di spettacolo che per i suoi spazi può garantire una funzionalità quasi pari a strutture congressuali più specifiche offrendo al contempo un’ambientazione tra le più affascinanti, come i nostri ospiti avranno modo di percepire, e che non vuole essere un semplice contenitore, ma un contenitore significante, aperto alla città anche al di fuori della sua specificità teatrale.

Alla due giorni verranno alcuni dei manager più importanti del Paese, come Luca Cordero di Montezemolo, che porteranno le loro esperienze. Secondo lei è ancora possibile fare impresa “sana” in Italia?

Non lasciamoci condizionare dalla situazione, esempi di imprese sane ce ne sono tanti. Purtroppo, in questa fase così delicata del nostro paese questi esempi non sono evidenziati, al contrario dello spazio, che pur giustamente, per la loro drammaticità, viene dedicato dai media alle imprese in crisi. Piuttosto occorrerebbe chiarire cosa si intende per sano. Se il metro di confronto sono i conti a posto e fare profitto, non so quanto questo possa soddisfare la domanda. Un individuo non è solo sano per condizioni fisiche, ma innanzitutto per condizioni psicologiche e relazionali.

L’impresa sana è quella in cui le persone che la dirigono considerano innanzitutto il fattore umano e le competenze come elementi importanti su cui investire, ancor più nei momenti di crisi. Una impresa sana è quella che in presenza di un calo di vendite non corre a ridurre gli investimenti in pubblicità e le spese del personale. Un’impresa è sana in termini di cultura, atteggiamenti e valori non solo pubblicati, ma anche vissuti.

Come fa a rimanere sana un impresa che non investa nella formazione dei suoi dipendenti? È come se la Ferrari, non vincendo il titolo un anno, riducesse le spese di investimento in tecnologia e per lo sviluppo delle competenze dei suoi collaboratori, e collaboratrici. Come psicologo delle organizzazioni non posso dimenticare che il fine principale di un’impresa non è il profitto, ma la capacità di poter garantire le massime condizioni di sopravvivenza e crescita. Il profitto è uno dei fattori che sostengono questo processo, ma non l’unico.

Uno dei nodi clou è la riforma del mondo del lavoro. Al congresso ne parleranno anche esperti del settore come Tiziano Treu e Giuliano Cazzola. Secondo lei in quale direzione dovrebbe andare una riforma del settore?

Banalmente direi cambiando la preposizione che precede la parola lavoro: non riforma del lavoro, ma riforma per il lavoro. E per fare riforme per il lavoro non si può non ascoltare chi il lavoro, ed i lavoratori, lo gestisce. In questo, come AIDP, possiamo e vogliamo dire la nostra. Se ci atteniamo ai fatti senza rischiare di essere risucchiati in terreni paludosi e ideologici, dobbiamo porci una domanda: come mai le ultime riforme fatte, e non da un solo governo, hanno lasciato così freddi proprio gli specialisti dell’area HR? Una riforma per il lavoro dovrebbe puntare a ridurre i costi del lavoro per le imprese e contemporaneamente garantire percorsi di accesso al lavoro più fattibili. Il tema è complesso, ma e per questo motivo vogliamo parlarne a Firenze.

In un momento di crisi i responsabili delle risorse umane vengono purtroppo associati a coloro che fanno i tagli nelle aziende. Come vivete questo momento?

Posso riportate il mio vissuto e la mia esperienza diretta. Un anno e mezzo fa, acquisiti i requisiti di legge, ho deciso di lasciare il lavoro. L’ho fatto però non prima di aver concluso una importante e complessa negoziazione sindacale collegata ad un processo di ristrutturazione aziendale che nell’idea di un’importazione di un modello già attivato in altro paese europeo dal socio di maggioranza avrebbe portato circa 250 dipendenti su 2000 a dover accettare un trasferimento anche oltre 300 chilometri dalla propria residenza. È stato un percorso difficile e complesso.

Dopo 20 anni il gruppo dirigente si è trovato in una posizione molto diversa rispetto alla storia delle relazioni in azienda. Ebbene, sono stati gli stessi dirigenti a preparare un piano alternativo, il cui punto di forza è stato il bilancio delle competenze dei lavoratori. Gli amministratori sono stati messi davanti alla scelta tra la soluzione a priorità finanziaria/organizzativa (con vantaggio immediatamente visibile in termini di riduzione dei costi, ma con grandissimo impatto sociale per la mobilità geografica) e la soluzione a priorità sostenibilità sociale (con non minore vantaggio in termini finanziari ma con minore disagio sociale per le ottime opportunità di mobilità professionali garantite).

In altri termini, in coerenza con i valori pubblicati, siamo riusciti a mettere al centro la sostenibilità e le persone costringendo gli amanti dei numeri ad attendere la sistematizzazione del processo di riconversione per le più giuste verifiche. Inutile dire che quel processo virtuoso affrontato e condiviso con i sindacati non ha mancato l’obiettivo.

Cosa vi aspettate da questo congresso?

Innanzitutto una presa di consapevolezza da parte di chi opera nel campo della gestione delle persone che non basta affermare che il mondo sta cambiando e che serve una nuova cultura gestionale, perché tutti noi siamo artefici di questo cambiamento e non spettatori: se i nostri collaboratori sono più o meno motivati non serve dare colpa al sistema, ma domandarsi quale ruolo ciascuno di noi sta giocando ed intende giocare. Sottolineo la parola persona perché è necessario smettere di illudersi che il termine risorse umane sia associato ad un’idea di valorizzazione delle persone. Oggi le risorse umane sono considerate sempre più risorse, e basta, come tutte le altre equivalenti.

La parola risorsa annulla la dimensione della soggettività. Nel nome di una razionalizzazione dei processi e di omologazioni gestionali, specie se rispondenti a culture di imprese internazionali, non dobbiamo dimenticare che in ogni momento abbiamo a che fare con persone che , l’una diversa dall’altra, ciascuna ha le sue idee, le sue capacità, le sue motivazioni, i suoi valori e atteggiamenti. Ecco, una delle sfide di questo congresso è quello di provare a restituire centralità alle persone, ma anche di riposizionare al posto giusto il concetto di competitività, che non è competitività tra persone, ma di mercato, una competitività che ha bisogno di relazioni, creatività, cooperazione, sostenibilità.

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