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Accoglienza non fa rima con tolleranza

Un articolo del «Corriere della Sera» analizzava qualche giorno fa genesi e dinamiche della furia omicida del giovane originario del Ghana che, com’è noto, è costata a Milano la vita a tre ignari e pacifici cittadini. In sostanza si accreditava l’idea, corredandola con meditate osservazioni di taluni esperti, che il tragico esito della vicenda si sarebbe potuto evitare se coloro che per primi erano stati presi di mira dal protagonista, feriti non gravemente, avessero avvisato i carabinieri. Cosa invece che, per motivi più o meno comprensibili, costoro non avevano fatto.

Qualche tempo fa in un rapporto sulla sicurezza a Roma di «Eurispes», affermato istituto di ricerca su tematiche economiche e sociali, venivano definite squilibrate le modalità di rappresentare i crimini da parte degli organi di informazione, che usano toni allarmistici o enfatici.

Non si manca poi diffusamente, anche ad alti livelli istituzionali, di addebitare alla crisi in atto le ragioni di reati violenti, anche molto gravi, come se la mancanza di un lavoro potesse essere l’origine di atti criminosi. D’altra parte un’azione delittuosa perpetrata in stato di bisogno potrebbe in sede di giudizio anche essere valutata come meritevole di attenuante. Ma una pur parziale scusante certo non annulla, ma contribuisce a definire più appropriatamente la responsabilità personale dell’autore.

La responsabilità personale appunto. Che da parte di vari ambienti si tende invece sempre più di frequente a stemperare ed a collocare sempre in subordine alle proprie preconcette posizioni politiche e culturali, seppur smentite dalla cruda realtà dei fatti. Tutto insomma è utile per eludere l’assunzione di provvedimenti improntati a maggior rigore ed efficacia quanto alla lotta contro il crimine.

E le vittime? Ad esse per qualche giorno gli onori della cronaca e la pubblica commiserazione; magari anche gli applausi in una chiesa ridotta a cornice, piuttosto che teatro di preghiera e di riconciliazione, e dove siamo abituati a sentire grida di dolore che provocano l’indignazione e la contrizione di qualche ora. Dopo la celebrazione rimangono solo i familiari degli uccisi e pochi altri a chiedere, come nel caso della povera giovane livornese Ilaria Leone, perché il presunto omicida si trovasse in Italia nonostante destinatario di più espulsioni dal territorio nazionale.

Per il resto da un lato si ricomincerà a diffondere quella cortina fumogena fatta di dotte interpretazioni, su eventi che più che altro disturbano le solide convinzioni dei novelli benpensanti. Dall’altro prenderanno di mira il Ministro dell’ immigrazione, mentre invece i fatti chiamano principalmente in causa competenze in materia di sicurezza e di certezza della pena di cui ben altri dicasteri, peraltro con portafoglio, dovrebbero occuparsi. E’ ben difficile che una politica rappresentativa di posizioni tanto divaricate su questi argomenti sia in grado non solo di risolvere, ma nemmeno di affrontare una problematica rimuovere le quale sarebbe così importante per salvaguardare la civile convivenza e la coesione della compagine sociale.

Eppure anche appartenenti ai sindacati di polizia non esitano a definire la normativa sulle espulsioni e sui rimpatri un vero e proprio fallimento.

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