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Per un pugno di voti

Sembra inarrestabile il progressivo incremento della diserzione elettorale, specie alle consultazioni amministrative. L’ultima tornata ha registrato il più alto tasso di defezioni della storia repubblicana, con astensioni in taluni casi di massa ai ballottaggi.

Ne è scaturito che al raggruppamento politico che ha mantenuto un minimo di struttura e di coesione ha finito per arridere quello che ad un esame superficiale appare un successo schiacciante. Insomma nell’attuale frangente al centrosinistra, con relative parentele, basta un pugno di voti per mantenere la presa su regioni, provincie e città. Per rinviare un’uscita di scena che lo stato delle sue relazioni interne renderebbe inevitabile, se vi fosse un gruppo antagonista in grado di riunirsi attorno ad un progetto politico in qualche modo credibile, capace di raccogliere la fiducia di quegli elettori che oggi scansano le urne per l’evidente assenza di opzioni attendibili e non evanescenti.

Se vi fosse. È invece chiaro che sul territorio un tal raggruppamento è ben lontano dal concretizzarsi, nemmeno replicandosi quell’aggregazione che sul piano nazionale si salda intorno a Berlusconi. Salvo sempre più rare eccezioni manca a livello periferico una qualsiasi entità, sia essa espressione di un movimento nazionale sia di istanze capaci di dar vita ad un’ organizzazione politica locale, idonea ad assumessi la rappresentanza di una parte notevole del corpo elettorale, invece ora collocata in posizione estranea rispetto alla gestione dell’ente pubblico.

Non è dunque fuori dalla realtà definire i governi locali come vere e proprie oligarchie, con un evidente deficit democratico, nel mentre gran parte degli italiani assistono passivamente e sempre più sconcertati al l’evolvere della situazione.

La Toscana e Firenze non espongono un ritratto differente. Sono anzi tra le migliori realizzazioni del modello descritto, con le amministrazioni di centrosinistra sostenute da numeri assoluti di elettori sempre minori, ma tuttora saldamente padrone dei sistemi politici locali, dove incontrano più difficoltà per i loro contrasti interni, piuttosto che per l’attitudine degli avversari di altro colore.

Sorvoliamo sulla consistenza e sulla qualità del Movimento 5 Stelle, improbabile soluzione anche ai gravi problemi che affliggono questi territori. I partiti di centro e di destra raccolgono consensi sempre più irrisori. I possibili protagonisti di una vicenda politica innovativa evitano accuratamente di convergere su piattaforme di azione comuni, taluni anche per non pregiudicarsi la possibilità di trovare comunque spazio all’ ombra del sindaco Renzi, qualora la sua conquista delle prime pagine, prima ancora che delle istituzioni, dovesse conseguire ulteriori successi.

Il momento sarebbe invece propizio per ridare un senso al significato di democrazia partecipata. Per garantire una rappresentanza politica alla componente moderata, al ceto medio sempre più strattonato dalle tasse, ai meno abbienti sottoposti a notevoli restrizioni, a coloro che vogliono riaffermare iniziativa e dinamismo nelle attività economiche anche mediante un freno all’imperio di burocrazie pervasive. Basterebbe davvero poco. Ma ciascuno si attarda nel difendere il modesto punto percentuale del proprio partitino, talaltro si contenta di primeggiare nella fondazione unipersonale, molti discutono in vari ambienti, parrocchie, circoli e salotti. Ben pochi però sono disponibili quando si tratta di rinunciare a qualcosa di sé e dedicarsi al bene comune. Così la Toscana avrà ancora per decenni governi analoghi agli attuali.

E il cittadino? Non vota. Ma paga. Viene in mente che da altre parti è sacro il motto «No taxation without representation»

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