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Grazie Tonino, Firenze ti deve molto

Si svolgono lunedì 17 giugno alle 11 presso la chiesa Nostra Signora del Sacro Cuore in via S.Caterina d’Alessandria a Firenze i funerali del prefetto Antonio Lattarulo, deceduto sabato 15 giugno.
Antonio Lovascio, già vice direttore de «La Nazione», ne traccia un significativo ricordo

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Bene ha scritto Paolo Padoin – che l’ha avuto Maestro, collega e soprattutto amico – quando, rendendo omaggio ad Antonio Lattarulo come “grand commis dello Stato”, ne ha tratteggiato anche le grandi doti umane e di simpatia, che colpivano al primo approccio. E che hanno conquistato anche me e numerosi altri colleghi giornalisti, quando agli inizi degli Anni Settanta è approdato in Prefettura a Firenze e ben presto chiamato ad alte responsabilità come commissario prefettizio di Firenze, a cavallo tra il 1974 ed il 1975, dopo la caduta della giunta di Centrosinistra guidata dal sindaco (per due mesi) Giancarlo Zoli, e la prima astensione del Pci sul bilancio. Conosceva già bene la macchina dello Stato, ma dimostrò anche di sapersi inserire negli anfratti e nei cunicoli dell’amministrazione di Palazzo Vecchio.

Allora ero capocronista di “Avvenire” e con il mio ancor più importante “dirimpettaio” de “La Nazione” Elvio Bertuccelli, alla fine del suo mandato gli abbiamo reso i giusti meriti. Quell’esperienza gli fece conquistare i galloni di Prefetto. Il “battesimo” fu a Lucca, dove appena insediato andai a trovarlo con altri colleghi e comuni amici, Piero Paoli e Riccardo Berti (cui devo il mio ingresso alla “Nazione” nel 1982), due “grandi” che Tonino ora troverà in Paradiso. Un’accoglienza principesca pure per noi, nel Palazzo che fu di Giuseppina Bonaparte, in piazza Napoleone. Un pranzo squisito, e tanti ricordi fiorentini e cremonesi: perché Lattarulo iniziò la sua carriera nella pubblica amministrazione proprio a Cremona, la mia città natale, lungo le rive del Po.

Dopo Lucca è iniziata la sua travolgente cavalcata di “grand commis” al ministero dell’Interno con Scalfaro e Gava, prima di arrivare come giudice alla Corte dei Conti, per fare le pulci a ministri, sindaci e presidenti di Regioni. Aveva innato il senso della legalità, e mi parsero strane le accuse (poi archiviate dalla magistratura) sulla gestione dei fondi neri dei Servizi Segreti (Sisde) quand’era al Viminale. Lo difese pubblicamente quel galantuomo di presidente della Repubblica che si chiamava Oscar Luigi Scalfaro, ex magistrato integerrimo che gli è sempre stato amico e veniva a trovarlo ogniqualvolta arrivava a Firenze per approfondire, i suoi interessi culturali alla Certosa del Galluzzo.

Lattarulo, che aveva già chiuso la sua carriera di Prefetto e di grande servitore dello Stato, nel 1993 si dimise dall’incarico di assessore che ricopriva nella “squadra” capeggiata da Giorgio Morales.

Firenze gli deve molto, anche perché qui ha scelto di restare e di morire , preferendola alla sua natia e non meno amata Bisaccia , in provincia di Avellino. Da dove era giunto con un altro campano eccellente, il comune amico generale Antonio Gervasio, uomo della Comunicazione al Comiliter in piazza San Marco, un altro probiviro che da qualche anno lo attendeva nell’Aldilà, per riprendere le vecchie frequentazioni con Tonino.


Antonio Lovascio


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