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13 luglio 1930, inizia il primo mondiale di calcio
Era il 13 luglio 1930. Ottantatré anni fa. Cominciava in Uruguay il primo campionato mondiale di calcio per squadre nazionali. La Fifa assegnò l’organizzazione del torneo al paese sudamericano per celebrare il centenario della Costituzione uruguaiana, nata nel 1830. Da allora si soffre, si suda, ci si dispera, si gioisce ogni quattro anni. E noi italiani la soddisfazione di vincere ce la siamo tolta quattro volte.
Nel ’30 tutte le partite si disputarono nella capitale Montevideo. La maggior parte allo Stadio del Centenario. Tredici le Nazionali presenti al torneo: sette dal Sud America (Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Messico, Paraguay, Perù e Uruguay), due dal Nord America (Messico e Stati Uniti) e quattro dall’Europa (Belgio, Francia, Jugoslavia e Romania). L’Italia non partecipò, a poche settimane dalla vittoria nella Coppa Internazionale, che la vide in finale vincere 0-5 a Budapest contro l’Ungheria. Ma la sua assenza in Uruguay scatenò polemiche, né la federazione italiana dette mai motivazioni ufficiali circa la sua non partecipazione.
Le squadre furono suddivise in quattro gruppi, in ognuno dei quali la vincitrice si sarebbe qualificata direttamente alle semifinali. In finale, davanti ad un pubblico di 93.000 spettatori, l’Uruguay ebbe la meglio sull’Argentina vincendo per 4-2 e si laureò campione del mondo, replicando il titolo olimpico conquistato nel 1928.
Le partite riservarono alcune sorprese dovute alla cattiva organizzazione e all’inesperienza. Gli arbitri presero decisioni dubbie, come l’annullamento di molti gol, e in alcuni casi si verificarono episodi goffi. Nessuna gara terminò in parità. La manifestazione ebbe un grande successo finanziario e sportivo, ma lasciò lo strascico della rappresaglia.
I giorni antecedenti la finale Uruguay-Argentina furono molto tesi. Diversi calciatori uruguaiani ricevettero minacce di morte da parte di alcuni tifosi argentini. Nelle ore precedenti alla finale diversi squilibrati si recarono con alcuni camion nei pressi del ritiro degli argentini, disturbandoli con canti e minacce. Il calciatore argentino Louis Monti fu intimorito, ma scese in campo ugualmente. La stessa sorte capitò al direttore di gara, il belga John Langenus, il quale impose alla Fifa poche ore prima dell’incontro la stipulazione di un’assicurazione sulla vita a favore della propria famiglia. Le cronache dell’epoca raccontano di una gara che non deluse affatto le attese, disputata a viso aperto da entrambe le contendenti, scese in campo adottando la stessa disposizione tattica: cinque attaccanti ciascuno. Alla faccia del calcio totale! Al 90° minuto l’Uruguay aggiunse il titolo di campione del mondo a quello di campione olimpico. Era il 30 luglio 1930. Una giornata di neve, fatto molto raro a Montevideo.
Una storia quella dei mondiali che si intreccia con la Coppa Rimet. Fu il premio assegnato alle squadre vincitrici dei mondiali di calcio dalle origini di questa manifestazione fino all’edizione del 1970. Originariamente chiamata Victory ma comunemente conosciuta come Coppa del Mondo, è stata ufficialmente rinominata nel 1946 in onore del presidente della Fifa Jules Rimet, che nel 1929 aveva dato inizio alla competizione. La coppa è stata conquistata definitivamente dal Brasile nel 1970, poiché il regolamento della Fifa imponeva che la coppa sarebbe entrata in possesso della nazionale che l’avesse vinta per prima per tre volte.
Il trofeo fu messo in palio la prima volta a Montevideo nel 1930. La coppa raggiunse il Sudamerica a bordo della nave italiana Conte Verde, che salpò da Villefranche-sur-Mer, vicino Nizza, il 21 giugno 1930. Sulla stessa nave viaggiavano Jules Rimet e i giocatori delle Nazionali francese, romena e belga. Il viaggio proseguì poi in Italia, vincitrice del trofeo nel 1934 e 1938.
Un trofeo rubato due volte. Nel marzo del 1966 l’Inghilterra, che aveva ottenuto l’incarico di organizzare il campionato mondiale in quell’anno, organizzò una mostra di francobolli sportivi. Fu esposto anche il trofeo che però, il 20 marzo, venne rubato. Tutto si risolse il 27 marzo, quando il cagnolino Pickles, mentre era fuori col suo padrone, ritrovò la coppa avvolta in un giornale sotto una siepe di un giardino della periferia a sud di Londra.
La Coppa Rimet fu rubata nuovamente il 19 dicembre 1983, dalla sede della Confederazione Brasiliana di Calcio. I soliti ignoti si introdussero nella sede della Confederazione e si appropriarono della coppa. Decisero poi di fonderla in lingotti d’oro. La vendita dell’oro fruttò ai malviventi 15.500 dollari. Gli autori del furto furono poi acciuffati dagli investigatori. La Confederazione commissionò una replica realizzata con 1800 grammi d’oro.
Negli anni si è fatta strada l’idea che il trofeo porti con sé una qualche specie di maledizione, soprattutto a seguito della morte in circostanze particolari di molti di quelli che furono a vario grado coinvolti nei furti della Coppa Rimet (compreso il cagnolino Pickles, strangolato dal proprio guinzaglio mentre inseguiva un gatto). Maledizione o no il fascino resta, così come non si è spenta l’emozione di quel pallone che dal 1930 continua a rotolare sui campi di tutto il mondo.