No Tav, rivoluzione e figli di papà
Uno dei sette arrestati per gli scontri fra no tav e polizia in Val di Susa è un ragazzo, vicino agli ambienti antagonisti torinesi, figlio del presidente del Tribunale di una città piemontese. Il suo caso desta già scalpore perché ancora una volta il figlio di un giudice rimane coinvolto in una delle inchieste aperte dalla procura di Torino. Il ragazzo non è mai stato arrestato in passato ma il suo nome non è nuovo agli uomini della Digos che portano avanti le indagini. Al posto della foto personale sul suo account di twitter c’è il simbolo del treno crociato cui segue una sequenza infinita di tweet sui temi più cari dell’area antagonista, e richiami a frasi come: «Quando torni a casa prendi a schiaffi un poliziotto. Non importa se non sai il motivo, lui lo sa».
Ma il fatto non meraviglia. Solo chi non conosce le tradizioni sabaude può stupirsi della circostanza che sopravvivano vigorosi legami dei figli della buona borghesia progressista con il mondo underground dei centri sociali e dell’autonomia. Un anno fa, per esempio, mentre un altro giudice presentava un saggio sulle vicende della Val di Susa, si diffondeva sui media locali un messaggio di posta elettronica di suo figlio, che raccontava di essere in Kurdistan ad addestrarsi alla guerriglia con il Pkk.
C’è stato in precedenza un caso simile, che ho commentato personalmente quando ero prefetto di Firenze, quello della “bella Rubina”, l’attivista di Askatasuna che nel 2010 aveva lanciato un fumogeno contro il segretario della Cisl Raffaele Bonanni alla festa del Pd di Torino. Anche lei figlia di un magistrato era stata intervistata da un quotidiano fiorentino che ne aveva quasi esaltato le gesta: da quell’intervista infatti emerge l’edificante figura di un’idealista sensibile che ha un forte senso della giustizia (evidentemente ereditato dal padre) in lotta contro chi “sta rubando il futuro ai giovani”.
La mia lunga esperienza mi permette di riconoscere qualche analogia con certi ritratti di protagonisti degli anni di piombo che i rivoluzionari da salotto presentavano come Robin Hood pronti a combattere contro l’ingiustizia della società e a ribellarsi alla violenza dello Stato. Questa visione deformata della realtà ha contribuito non poco, in tempi che vorremmo seppelliti per sempre, a propagare l’ideologia del terrorismo. Anch’io sono figlio di magistrato, ma del “senso della giustizia” ho recepito una ben diversa concezione, fondata sul rispetto delle regole del vivere civile.
La Val di Susa, secondo molti commentatori, è diventata attualmente il centro d’attrazione per i movimenti violenti di tutt’Europa. Fra i soggetti che partecipano a queste azioni ci sono estremisti che sono figli o parenti di uomini delle istituzioni. Anche negli anni di piombo i rivoluzionari provenivano dalle famiglie della buona borghesia. Uno dei principali esponenti di Lotta Continua era figlio del prefetto col quale collaboravo nella mia prima sede, Arezzo.
Occorre che governo e istituzioni seguano attentamente non solo le vicende della Val di Susa, ma anche l’andamento della situazione economica e sociale del paese, per evitare l’acuirsi del disagio di molti strati della popolazione, che potrebbe portare, come ha detto Roberto Casaleggio, a una rivolta o comunque a innescare seri problemi di ordine pubblico. Ma su questo mi sono già espresso ieri.