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I resti del bus dopo il tragico volo dal viadotto dell'A16

Il volo dal viadotto senza un colpevole

I resti del bus dopo il tragico volo dal viadotto dell'A16
I resti del bus dopo il tragico volo dal viadotto dell’A16

Da domenica notte l’opinione pubblica ha seguito con particolare partecipazione emotiva le vicende del tragico incidente sull’autostrada A16 Napoli-Canosa, in comune di Monteforte Irpino (AV), nel quale un autobus è volato da un viadotto con 48 persone a bordo: 38 le vittime, 10 le persone ferite.

L’accadimento, il contesto, il dolore dei familiari, gli sviluppi investigativi, mi hanno richiamato alla mente un episodio analogo che da giovane dirigente della stradale ebbi l’onere di vivere professionalmente trent’anni or sono in Liguria; era il 18 dicembre 1983 quando un autobus militare che viaggiava sull’ autostrada Genova-Sestri Levante, con 35 marinai di leva a bordo, precipitò da un viadotto da un’ altezza di 70 metri, complice l’ asfalto reso viscido dalla pioggia; morirono tutti i giovani passeggeri. Una vicenda umana e professionale assai coinvolgente, che ho tuttora viva nella mia mente. In trent’anni, mi sono chiesto, nulla è cambiato sotto il sole?

Ogni incidente della strada ha tre elementi determinanti: i fattori uomo, strada, veicolo.

Su testimonianze, dichiarazioni, accertamenti tecnici, le immagini delle telecamere a circuito chiuso dislocate lungo l’autostrada, gli investigatori della Polstrada campana – i dirigenti Salomone e Imparato – coordinati dall’autorità giudiziaria competente, il procuratore Cantelmo e i due sostituti Annecchini e Del Bene, dovranno puntare la loro attenzione per accertare eventuali responsabili di omicidio colposo plurimo e disastro colposo, ipotesi di reato con cui l’ufficio del P.M. ha aperto il fascicolo relativo.

L’uomo: il fattore tra i tre di maggiore valenza. È il guidatore, infatti, col suo comportamento, la sua preparazione tecnica, la perizia di guida , ma anche con i suoi limiti psichici e fisici e la inosservanza di norme, negligenze e imprudenze ad essere causa per quasi l’80% del verificarsi dell’incidente. Ecco allora perché dovrà essere vagliato attentamente il comportamento del quarantaquattrenne Ciro Lametta, conducente dell’autobus, la cui salma è in attesa di essere sottoposta ad esame autoptico. Ha rispettato i tempi di guida e di riposo, nonchè i limiti di velocità imposti? Era sobrio alla guida? Ha accusato malori? Ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità, con le sue manovre di guida, per evitare, in sostanza, il tragico epilogo?

La strada: il tracciato stradale, con le sue problematiche, è concausa statisticamente per il 15% nell’accadimento di un sinistro. La cura del manto stradale, la segnaletica, la robustezza delle barriere – soprattutto in questo incidente- erano adeguate? Il new jersey, com’è impropriamente chiamata la barriera a muretto in calcestruzzo presente su quel viadotto e divelta dall’autobus forse incontrollabile, è elemento assai importante della sicurezza passiva, garantito per favorire all’atto dell’urto il rinvio dinamico del mezzo verso la sede stradale, omologato per resistere a determinati impatti, secondo certe angolazioni ed entro certi limiti di velocità. Perché anche ad un non addetto ai lavori emerge lampante che un autobus da 12 metri, con passeggeri a bordo, di oltre 125 quintali, lanciato a 100 km/h contro un ostacolo è animato da un’ energia cinetica tale che diventa una bomba inarrestabile. Su questo aspetto saranno determinanti le perizie di rito. Così come sull’ultimo fattore in giuoco, il veicolo.

Il veicolo:le prime risultanze ci dicono che l’autobus immatricolato per la prima volta nel ’95, con 900 mila chilometri di vissuto, sottoposto alla annuale revisione per ultimo nello scorso mese di marzo, abbia iniziato a perdere pezzi della trasmissione nella parte finale del tragitto. I sopravvissuti hanno chiaramente percepito botti ed urti provenire da sotto il pianale del bus. Il veicolo era in condizioni tecniche idonee per viaggiare? Anche su questo punto sarà indispensabile che i periti che saranno nominati facciano chiarezza.

Purtroppo sono tragedie come questa che vengono a riproporre, imperiosamente, il tema della sicurezza sulla strada. Le regole ci sono, il codice è assai severo nel sanzionare comportamenti non virtuosi, con sospensioni, ritiri, multe, punti detratti. Ma in un caso come questo si è portati a pensare: siamo tutelati? Chi avrebbe potuto o dovuto controllare su strada quel mezzo, il suo conducente e anche la documentazione presso l’impresa di trasporto? E allora forse è il caso di ampliare il discorso, per dovere di chiarezza.

In autostrada – è lì che si è verificato il tragico fatto – è noto che la responsabilità della vigilanza h24 fa carico in via esclusiva e permanente alla Polizia stradale. È pur vero che di questi tempi sussidiano il personale di polizia nel suo operato, le innumerevoli telecamere collocate da Autostrade spa nei punti critici, abbinate alla elettronica e alla sofisticata tecnologia del terzo millennio. Ma quello a cui ci stiamo riferendo – e con esso ad altre centinaia, per non dire migliaia, di autobus turistici italiani e stranieri che percorrono giornalmente la rete autostradale nazionale – avrebbe richiesto, imposto, un controllo umano. Il controllo del conducente, del suo stato psicofisico, dei documenti, dei pneumatici, del rispetto dei limiti di guida e di riposo, della velocità, del cellulare alla guida, non possono essere effettuati se non fisicamente, nell’immediato.

Invece ci risulta l’impossibilità di prevederlo in modo costante e standardizzato, visti gli esigui organici della Polstrada in carenza di quasi ventimila agenti, la cui età media viaggia sui quarantacinque anni. Servono più controlli sulle strade, servono più pattuglie di polizia stradale, di giorno come di notte.

Il presidente del consiglio Letta, presente ieri ai funerali di stato, il ministro dei trasporti Lupi, il ministro dell’interno Alfano hanno dimostrato, nelle loro dichiarazioni, sensibilità al tema della sicurezza stradale e interesse ad approfondire le relative problematiche. Il nostro auspicio è che alle parole seguano quanto prima i fatti.


Sergio Tinti

già Comandante Polizia Stradale della Toscana

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