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Battistero di Firenze: il mistero della battaglia navale

L'abside rettangolare del Battistero chiamata Scarsella
L’abside rettangolare del Battistero chiamata Scarsella

Definito da Dante il “mio bel San Giovanni” in cui egli fu battezzato, il Battistero è il primo importante edificio architettonico di Firenze. Sul lato prospiciente il Palazzo Arcivescovile, fuoriesce dal perimetro dell’ottagonale immobile decorato nel 1294 a motivi geometrici con marmo verde e bianco, l’abside rettangolare detta “scarsella”.

Per quel decorosissimo rivestimento esterno di marmi “che prima erano di macigno” fu deputata l’Arte di Calimala la quale, nell’occasione, fece togliere tutti i monumenti “et arche di marmo che vi erano dintorno, le quali erano tutte o la maggior parte de’ Gentiluomini di Firenze…”. A lato della scarsella dalla parte di via Roma, si può notare nella faccia basamentale a circa un metro dal piano stradale, incastonato nel rivestimento marmoreo eseguito tra l’XI e il XIII secolo, un consunto bassorilievo del V secolo, poco o per niente noto ai fiorentini e comunemente appellato la Battaglia navale.

Il bassorilievo della misteriosa battaglia navale
Il bassorilievo della misteriosa battaglia navale

(…) Si tratta molto probabilmente di un antico ritrovamento rinvenuto in zona ed inserito durante l’esecuzione del rivestimento del sacro edificio. La testimonianza archeologica presenta un marmo molto eroso e rotto in due pezzi poi ricollegati insieme, ma forse non in una esatta successione dell’immagine. Si suppone che fra i due pezzi ci fosse un altro, se pur breve frammento, andato perduto con tutto il resto del sarcofago. in realtà la scena che si osserva ora, pare voglia rappresentare due momenti di vita dell’uomo commerciante e nello stesso tempo agricoltore: quindi vita mercantile e vita artigianale dedita all’agricoltura. Pertanto, a nostro modesto avviso, è da escludere a priori che la rappresentazione raffiguri una qualsivoglia “battaglia” sia essa terrestre o navale, in quanto non si notano armi impiegate dai presunti guerrieri in lotta, privi di elmi e scudi, anche se a sinistra (relativamente al primo troncone), vediamo una sola nave romana a vele ammainate e legate al pennone, ormeggiata a riva.

Il consunto frontone, comunque è significativo per le notizie che ci fornisce: dall’imbarcazione discende un uomo con la schiena curva perché porta sulle spalle un contenitore, mentre un altro in eguale atteggiamento sale a bordo. La scena sembra quella di un normale attracco di una nave, con il relativo carico e scarico della mercanzia. Nell’altro frammento, quasi al centro della scena, si nota il momento agreste della vendemmia con la pigiatura dell’uva in un grande tino. Tale lavoro è effettuato con i piedi nudi da due persone, nel classico moto di pressione alternativo delle gambe, immerse negli acini al fine di ottenere il mosto e quindi vino, mentre un terzo agricoltore scarica da una cesta che portava sulla schiena la sua raccolta di grappoli nel tino: sintesi ambientale di un comportamento di vita singola e sociale aderente alla semplicità dei tempi.

Sgombrato il campo da presunte “battaglie” viene da domandarsi perché un reperto così antico sia stato incastonato nel battistero dedicato a San Giovanni battista. Poiché “niente viene a caso”, è lecito ipotizzare! Azzardiamo così un’altra ipotesi, prendendo in esame separatamente i due tronconi del bassorilievo: nel primo, quello relativo alla “nave”, dobbiamo sapere che un’imbarcazione in genere ha sempre simboleggiato la Chiesa quale traghettatrice delle anime beate in Paradiso. Inoltre raffigura espressamente anche il commercio, caro all’attività dell’Arte Maggiore dei Mercatanti di Calimala molto esperta nel traffico via mare, ed alla quale era affidata l’amministrazione dell’opera di San Giovanni. Infatti, sovrastante la porta nord dell’ottagonale costruzione, si nota ancora l’aquila col torsello stemma dell’Arte. Nel secondo pezzo, sapendo che la religione cattolica ha sempre rappresentato col vino il sangue di Cristo, simbolo del frutto della terra trasformato in vino dal lavoro dell’uomo, presente nell’eucaristia, ben si accosta all’edificio sacro che fu anche cattedrale della città fino al 1128. Pertanto entrambi i monconi avrebbero un’intrinseca correlazione con l’austerità religiosa del battistero e non ultima, la volontà di unire un così antico ritrovamento risalente forse al primo nucleo di Firenze romana, per vantarne la diretta discendenza, come del resto ne dà immagine Dante (Commedia, Inferno C. XV, vv. 76-78):

… in cui riviva la sementa santa
di que’ Roman’ che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta.

Cercando ora di fondere la raffigurazione del bassorilievo in un solo significato, come in origine avrà voluto certamente rappresentare, si può pensare al sepolcro di un ricco “vinattiere” cioè di un importante produttore e commerciante di una illustre famiglia fiorentina che produceva ed esportava il vino, forse addirittura ad un personaggio “big” del momento. Per cui concludendo, se volessimo dare un plausibile e significativo nome all’antico bassorilievo, lo si può denominare d’ora in avanti il “Vinattiere” e non più la “battaglia navale”.

Tratto dal libro di Luciano e Ricciardo Artusi «A occhio e croce» – Passo dopo passo curiosando in piazza del Duomo – Firenze Leonardo Edizioni 2013. Per gentile concessione dell’Editore.


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Luciano Artusi


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