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La Germania riesuma gli anni di piombo, senza miti

RAF___Rote_Armee_Fraktion_by_davemetlesitsAnche la Germania della cancelliera Merkel torna a fare i conti con i suoi anni di piombo, quando il partito armato dell’ultrasinistra tedesca – la Rote Armee Fraktion (Raf), meglio conosciuta come banda Baader-Meinhof dai nomi dei due leader – voleva abbattere il regime democratico, cercando di trasformare il malcontento giovanile post-68 in lotta violenta. La Haus der Geschichte, cioè il locale museo di storia contemporanea, ha allestito a Stoccarda la prima mostra sulla storia del terrorismo e della lotta al terrorismo. Entri e sei già di fronte alla violenza urbana del partito armato: nella prima sala è simulata un’esplosione. Poi sono esposte la moto Suzuki con cui un gruppo di fuoco della Raf, mitra Skorpion in pugno, uccise in un agguato Sigfried Buback, il procuratore generale dello Stato. E non manca nulla, negli oggetti e nelle foto esposte, della storia di quei terribili anni di piombo. Ci sono armi, moto e auto usate dai gruppi di fuoco negli attentati. Ci sono le foto degli ostaggi della Raf, che a noi italiani fanno tornare in mente le istantanee Polaroid di Aldo Moro in mano alle Brigate rosse. Poster ricordano l’ordine dato dall’allora cancelliere Helmut Schmidt al suo governo, ai servizi, agli alleati: “Se quelli della Baader-Meinhof mi rapiranno, lasciatemi uccidere, non negoziate, non cedete nulla con loro”.

Riemerge anche nella memoria collettiva tedesca l’interrogativo che si è posto in Italia: è possibile ricordare alcuni eventi del passato senza cadere nell’errore involontario di mitizzare i protagonisti, i criminali di allora? Ricordare i responsabili degli anni di piombo cui la Germania riuscì a sopravvivere con la linea della fermezza e della non trattativa ma senza leggi speciali, è giusto o rischioso? Stavolta si è deciso di farlo.

Quando nel 2003 l’Istituto per l’arte contemporanea di Berlino aveva annunciato l’allestimento di una grande esposizione nella capitale sugli anni del terrorismo armato tedesco, la vicenda si era invece conclusa in modo negativo. Parte dell’ opinione pubblica identificò la mostra come «il tentativo di idealizzare e glorificare i terroristi di sinistra della Raf» e reagì alla notizia che la mostra aveva ottenuto un finanziamento di centomila euro dal fondo per la cultura del comune di Berlino. I primi a insorgere furono i familiari delle vittime, che scrissero una lettera indignata ai principali leaders politici tedeschi: «È per noi incomprensibile – dissero – che una mostra del genere venga realizzata non soltanto con l’approvazione, ma addirittura grazie all’incentivo dello Stato. Non siamo solo sbalorditi, ma anche preoccupati che l’esposizione favorisca l’idealizzazione e l’apologia postuma della Raf». La politica accolse l’invito e l’iniziativa della mostra sfumò.

Adesso nella Germania della Merkel sembra che la situazione sia cambiata; forse sono state coinvolte, prima dell’organizzazione della nuova esposizione, le famiglie delle vittime. Si nota però una diversa sensibilità: oggetti e documenti esposti a Stoccarda testimoniano oggettivamente i delitti della Raf. In Italia invece cineasti e esponenti della cultura in generale, che ricevono contributi pubblici anche dalla Rai, restano sempre schierati a fianco di terroristi assassini e affidano il ricordo di quegli anni quasi sempre a chi stava dalla parte sbagliata, infischiandosene dei sentimenti dei familiari delle vittime. Siamo proprio – purtroppo – un paese speciale.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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