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Lo stabilimento AnsaldoBreda a Pistoia

AnsaldoBreda: un treno perduto

Lo stabilimento AnsaldoBreda a Pistoia
Lo stabilimento AnsaldoBreda a Pistoia

PISTOIA – La crisi di AnsaldoBreda non è solo quella di una grande azienda. Può trasformarsi nella crisi di alcune città nelle quali la società possiede insediamenti produttivi (Pistoia, oltre che Napoli, Reggio Calabria e Palermo), ma è già la crisi di una lunga e gloriosa storia industriale. Che corre seriamente il rischio di finire senza neanche la potenza emotiva delle grandi tragedie.

Innanzitutto si fa un po’ fatica a trovare «AnsaldoBreda». Nello stabilimento di Pistoia la chiamano «Breda», in quello di Napoli «Ansaldo», in quello di Reggio Calabria «Omeca» (o nel migliore dei casi ex Omeca), in quello di Palermo la si sente chiamare «Imesi». Sono i nomi delle vecchie società la cui fusione ha dato vita ad AnsaldoBreda, e che oggi sono la testimonianza di una fusione fredda, forse mai avvenuta almeno a livello di cultura e di identità d’impresa. Gli stessi possibili provvedimenti su un eventuale spacchettamento tra i diversi stabilimenti, per una loro diversa futura destinazione, non sarebbero nient’altro che la conferma dell’assenza di una identità e dell’impossibilità di un progetto comune.

Negli anni recenti si è sostenuto che AnsaldoBreda ha una dimensione aziendale ibrida, che per sopravvivere necessiterebbe di un salto di qualità non solo gestionale, ma anche dimensionale. Non è grande a sufficienza per competere alla pari con i protagonisti del mercato internazionale del settore ferroviario e della mobilità urbana, ma non è nemmeno abbastanza piccola da poterla considerare solo uno dei tanti sub-fornitori del settore.

E allora il tanto auspicato riassetto del comparto industriale del trasporto ferroviario passa non solo nella soluzione del dossier AnsaldoBreda, ma con esso del problema di altre significative realtà dell’industria ferroviaria italiana, ad esempio la napoletana «Firema», dal 2010 in amministrazione controllata. Come non si è fatto in questi anni, nonostante autorevoli ipotesi formulate qualche tempo fa.

Gennaio 2013: due tra i maggiori clienti di AnsaldoBreda (le Ferrovie del Belgio e dell’Olanda) rompono il contratto di fornitura dei treni ad alta velocità (il cosiddetto progetto Fyra). L’accusa: guai tecnici, ridotta sicurezza, disservizi. Non si tratta di due clienti qualunque: siamo nel cuore dell’Europa, nella sede delle istituzioni comunitarie, tra le nazioni più ricche e civili del continente. Tra accuse e difese, tra fideiussioni escusse e ricorsi in tribunale, vengono sollevati dubbi sulle reali intenzioni delle ferrovie belghe ed olandesi e sulla verosimiglianza delle accuse tecniche contro AnsaldoBreda. Se così fosse, se risultasse vero che non ci sono i fondamenti tecnici per la rottura del contratto di fornitura, l’alternativa è secca: o nel mondo non hanno nulla da fare che ordire trame oscure ai danni di AnsaldoBreda, o l’immagine della società presso i sui grandi clienti non è cambiata nonostante le rassicurazioni aziendali. A prescindere dalla qualità tecnica dei prodotti.

Il caso Olanda – Belgio mostra anche come la comunicazione possa diventare un’aggravante un po’ grottesca nelle crisi aziendali, da non manovrare con avventata baldanza, soprattutto nei Paesi ove le parole hanno un significato e un peso. Martedì 22 gennaio 2013, appena scoppiata la grana dell’alta velocità ferroviaria, il Direttore Operations di AnsaldoBreda rilascia alcune dichiarazioni pubblicate poi su alcuni media (il giornale olandese Het Financieele Dagblad, la rete televisiva olandese NOS, il belga De Tijd) in base alle quali «è questione di pochi giorni» per trovare una soluzione.

Dopo 10 mesi non restano altro che gli avvocati in tribunale.

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