Metamorfosi di una repubblica
All’inizio voleva parlare solo di Gianfranco Fini, del suo doppio ruolo di presidente della camera e al tempo stesso capo-partito, anzi come lo chiama del suo essere metà dottor Jekyll metà Mister Hyde: finito non come omicida ma come suicida (politico). E lo paragona ironicamente anche a quel «fu Mattia Pascal» di pirandelliana memoria che per una serie di vicissitudini personali era finito a Montecarlo, dove un giorno lesse sul giornale della sua morte. Un’opportunità che gli consentì di tentare di cambiare vita, ma senza troppa fortuna.
Così la penna e le parole di Paolo Armaroli scivolano via veloci tra le pagine del suo ultimo libro «Lo strano caso di Fini e il suo doppio nell’Italia che cambia» (Mauro Pagliai Editore) presentato ieri a Firenze a palazzo Vecchio. In un Salone de’ Dugento riempito come durante un consiglio comunale delle grandi occasioni, pubblico di prevalente taglio «almirantiano», che si ritrova quasi per caso, con qualche capello bianco in più, dopo anni di affannosa ricerca di una casa liberal-conservatrice. Più trasversale invece il tavolo degli oratori, moderato dal direttore de «La Nazione» Gabriele Canè: da Enzo Cheli a Giuseppe Morbidelli, da Ginevra Cerrina Feroni a Carlo Fusaro, allo stesso editore Mauro Pagliai.
Ma Fini «è stato un pretesto» ammette da ultimo l’autore dell’accattivante saggio. Un’opportunità che gli ha consentito di puntare sull’attualità politica e sulle tante anomalie del momento, in un paese che «non è più quello delle regole ma quello delle eccezioni». Come, tra mille altre, quella di avere oggi alla presidenza di Camera e Senato due personaggi «che non hanno un giorno di attività parlamentare alle spalle».
Segnale di una più generale aspirazione verso il nuovo a tutti i costi «anche a quello dell’incompetenza» dice Armaroli, che le aule parlamentari le conosce bene: prima come costituzionalista e docente proprio di diritto parlamentare, poi come deputato della XIII legislatura, chiamato proprio da Gianfranco Fini nelle liste dell’ormai lontanissima Alleanza Nazionale.
Poco più di 200 pagine scritte con piglio giornalistico, che attirano anche il lettore refrattario alle cronache parlamentari. E che si concludono con un sintetico epitaffio all’attuale legislatura: «Dal transitorio al precario». Dove aleggia l’ombra, anzi lo «spettro», della repubblica di Weimar della fragile Germania tra le due guerre. E dove, nell’ultimo capitolo, si profila la figura di un Matteo Renzi pronto alla rivincita, dopo la sconfitta con Bersani
Sullo sfondo una metamorfosi silenziosa della nostra Repubblica che – scrive Armaroli – «nata parlamentare, evolverà in senso presidenziale o quasi presidenziale. Senza il bisogno di alcuna riforma, sempre rimandata alle calende greche. Perché le riforme, quelle vere, da noi avvengono di fatto. A loro insaputa, per usare un’espressione alla moda».
Carlo Beltrandi
Molto interessante l’argomento, conciso ed efficace il commento.