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Calabresi e Pinelli, dagli anni di piombo alla fiction tv

L’attore Emilio Solfrizzi e il commissario Luigi Calabresi

Nella fiction Anni spezzati, in onda dal 7 gennaio a cura della Rai, sono illustrati episodi che hanno caratterizzato i dieci anni che hanno sconvolto l’Italia, raccontati dal punto di vista di chi ha combattuto cercando di salvare la nostra Repubblica. I protagonisti di questi racconti sono gli uomini del dialogo, coloro che in tempi in cui si affermarono la violenza, l’intolleranza e l’odio per i rivali politici, cercarono di difendere i valori della convivenza civile e del rispetto per l’avversario. Come hanno spiegato i produttori Alessandro Jacchia e Maurizio Momi, l’obiettivo è quello di «raccontare gli anni ’70, il periodo del terrorismo con uno sguardo che renda giustizia a persone che hanno mantenuto la loro fede nelle istituzioni repubblicane e contribuito a preservarle, persone che sono state lasciate sole di fronte alle pallottole, figure emblematiche della storia buia di quegli anni».

CALABRESI – Il primo episodio, in onda il 7 e l’8 gennaio, è dedicato a «Il commissario» (Luigi Calabresi), un funzionario di polizia in servizio a Milano, chiamato ad affrontare l’inizio della strategia della tensione alla fine degli anni ’60. Il commissario (interpretato da Emilio Solfrizzi), dopo la strage di piazza Fontana, si trovò al centro di una vicenda che lo portò ad essere incolpato dall’estrema sinistra per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. È la storia di un uomo che si è trovato, in quegli anni terribili, solo con la sua famiglia a combattere una lotta per la legalità e la giustizia. Di un uomo che aveva il senso dello Stato, che credeva al decoro delle istituzioni e alla dignità del suo ruolo. Un’espressione antica, terribilmente démodé, le compendiava tutte: Calabresi era un perfetto servitore dello Stato.

ANNI DI PIOMBO – Nella prima puntata dell’episodio vengono rievocati fedelmente gli eventi più gravi di quegli anni di piombo a Milano, l’assassinio dell’agente di polizia Antonio Annarumma, la morte di Pinelli, la bomba di Piazza Fontana. Vengono illustrati gli episodi e dipinta l’atmosfera che si viveva in quegli anni; i riflettori sono puntati soprattutto su due personaggi, che emergono per la loro umanità: Luigi Calabresi, in primo luogo, ma anche Giuseppe Pinelli. E vengono tratteggiati anche i ritratti di altri protagonisti di quelle vicende, l’editore Giangiacomo Feltrinelli e la giornalista Camilla Cederna, una delle più acerrime avversarie di Calabresi. Un ritratto preciso del Commissario si ritrova in un articolo: «Luigi Calabresi. Un uomo da non dimenticare» di Luciano Garibaldi pubblicato sul Timone n.66 del settembre/ottobre 2007.

IL LINCIAGGIO –L’anarchico Giuseppe Pinelli era morto, precipitando dal quarto piano della Questura, il 15 dicembre 1969. Era stato fermato proprio da Calabresi in seguito all’arresto di Pietro Valpreda, anch’egli anarchico e principale sospettato per l’attentato di tre giorni prima, 12 dicembre, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano. Il 3 luglio dell’anno seguente, il giudice Antonio Amati aveva concluso l’istruttoria sulla sua morte attribuendola a suicidio. Dopo quegli eventi si scatenò una campagna denigratoria contro il Commissario. Centinaia di giornalisti e uomini di cultura sottoscrissero il messaggio di protesta pubblicato da L’Espresso, nel quale Calabresi veniva definito «commissario torturatore» e «responsabile della morte di Pinelli». Quando, nel dicembre 1971, andrà in scena la farsa di Dario Fo «Morte accidentale di un anarchico», con protagonista il dottor Cavalcioni, alias Luigi Calabresi, l’intellighenzia di sinistra affondò i colpi contro Calabresi. Lo attaccavano a fondo non soltanto L’Espresso, l’Unità, Vie Nuove e l’Avanti, ma la maggior parte dei più importanti quotidiani. L’Espresso n. 24 del 13 giugno 1971, n. 25 del 20 giugno e n. 26 del 27 giugno – allora direttore era Eugenio Scalfari – pubblicò una lettera-appello contro Calabresi firmata da oltre ottocento uomini di cultura. Fra questi Norberto Bobbio e Lucio Colletti, i più famosi artisti e registi di Cinecittà, a partire da Federico Fellini, poeti come Pier Paolo Pasolini, editori come Giulio Einaudi e Vito Laterza, pittori come Renato Guttuso e Carlo Levi, scrittori come Alberto Moravia, Umberto Eco e Dacia Maraini, molti uomini politici di sinistra e molti giornalisti, in primis il citato Eugenio Scalfari, ben accompagnato da Paolo Mieli, Giorgio Bocca, Furio Colombo. Pochi di questi in seguito si sono pentiti delle loro affermazioni e hanno chiesto scusa alla famiglia. In quella lettera gli intellettuali condannarono il commissario Calabresi senza assolutamente chiedersi e accertare, prima di firmare, chi veramente fosse l’uomo che accusavano di assassinio, che indicavano – con l’autorevolezza dei loro nomi – al pubblico ludibrio e al linciaggio dei fanatici dell’estrema sinistra.

L’ASSASSINIO – Anche in conseguenza di questo clima di odio Calabresi fu ucciso vicino a casa il 17 maggio 1972 da Ovidio Bompressi, con la complicità di Leonardo Marino, e la corresponsabilità di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, tutti e quattro membri di «Lotta Continua». La vedova di Calabresi, Gemma Capra, ha sempre tenuto in tutti questi anni un comportamento riservato ed esemplare e anche per questo è molto significativo il fatto che proprio Lei abbia ricevuto la medaglia d’oro al valor civile attribuita a Calabresi dal presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, con trentadue anni di ritardo.

Conoscere e far conoscere oggi la vicenda di Calabresi appare, dunque, una battaglia di principio e di verità storica. Chissà se la cultura (e la televisione) italiana sapranno riparare all’esecrazione ed al disprezzo tributati dall’intellighenzia sinistrorsa alla famiglia Calabresi. Mario, il figlio del commissario – adesso direttore de «La Stampa» – ha preferito, pur invitato dal regista, non vedere la fiction in anteprima. Decideremo tutti, dopo aver visto l’intera serie, se produttori e registi sono riusciti nell’intento di demolire il mito di eroi che i protagonisti degli anni di piombo si sono cuciti addosso e se avranno reso la giustizia che meritano ai protagonisti che quelle vicende hanno vissuto dalla parte dello Stato e della legalità. Il primo episodio è riuscito a dare voce al commissario, a descrivere il suo stato d’animo e la sua umanità, a confermare la sua ferma convinzione nella difesa dei principi di legalità e della difesa dello stato di diritto. Ridare forza a questi valori, difendere i principi fondamentali della nostra democrazia sono i sentimenti che hanno animato la condotta di Calabresi. Se riusciremo a far comprendere questo anche alle giovani generazioni, potremo affermare che gli anni peggiori sono passati. E per questo anche le fiction possono dare un valido contributo.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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