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All’Arno si perdona, a chi governa no

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FIRENZE – È pazzo il fiume? Sono paurosi i toscani? Oppure governanti e amministratori continuano a giocare pericolosamente con l’acqua, senza rendersi contro che le opere di prevenzione vanno fatte e non solo annunciate?

PAURA – La giornata di paura per la piena dell’Arno, vissuta a Firenze e nella provincia di Pisa, dimostra, ancora una volta, la distanza fra le palpitazioni della gente, che ha fatto la fila alle spallette dell’Arno per seguire col cuore in gola l’arrivo dell’onda di piena, e le vuote parole dei politici, che giurano e promettono, ma poi non si preoccupano nemmeno delle più facili forme di prevenzione.

SCOLMATORE – Balza agli occhi, violenta come una frustata, la colpevole pigrizia di chi avrebbe dovuto rendere efficiente lo Scolmatore di Pontedera, per mettere al riparo Pisa. Invece il fosso d’intuizione leonardesca è stato abbandonato: al punto che può smaltire solo 500 metri cubi d’acqua al secondo invece dei 1.400 che figurano ufficialmente nel Pai, cioè il piano di assetto idrogeologico. Attenzione: il Pai è uno strumento fondamentale per la programmazione del territorio. Perfino la sicurezza del nuovo stabilimento Ikea è stata misurata sul Pai. Chi ha lasciato che lo Scolmatore si riempisse di detriti limitando la sua capacità al 30%? In Regione puntano il dito su Andrea Pieroni, presidente della Provincia di Pisa. Ma può darsi che lui abbia argomenti per deviare quel dito.

DENUNCIA – Chi scrive, il vostro cronista-direttore, ha un ricordo preciso: a fine agosto del 2012, impegnato nella discesa dell’Arno in secca – insieme con Gaia Checcucci, rinominata da tre giorni segretario dell’Autorità di bacino, e a Erasmo D’Angelis, ora sottosegretario ai trasporti- arrivato a Pontedera vide lo Scolmatore somigliante a una discarica. Denunciò la situazione. Risultato? Orecchie tappate e occhi foderati di prosciutto nei Palazzi dove si decide. A Pisa, a Firenze. E anche a Roma. Dove solo in questi momenti il presidente del consiglio, il pisano Enrico Letta, ha lanciato l’allarme per gli argini da rifare, nella capitale e in provincia di Pisa.

TORRENTE – Eppure tutti sanno che l’Arno non è un pazzo, ma un torrente con sfrenate ambizioni di fiume. Che prende acqua da una sola montagna: si gonfia fino a far paura quando piove sul Pratomagno e va in secca quando smette di piovere. È così dal 1177, anno della prima alluvione storicamente registrata. Fu così nel 1966. Sarà così in avvenire. Fino a quando chi siede nei Palazzi, del governo o delle amministrazioni toscane, non deciderà di fare quel che serve, anche un po’ alla volta, anche in periodi di crisi come questa.

MEMORIA – Matteo Renzi ricorda di essere nato a Rignano (sull’Arno) se gli serve. Quando venne l’alluvione, nel ’66, non c’era: spesso si è scagliato contro la “meglio gioventù” che spalò agli Uffizi e alla Biblioteca Nazionale, dicendo di non poterne più della retorica del passato. Benissimo. Dimostri che la sua generazione può allontanare una delle più gravi calamità: il rischio alluvione. Perché i fiorentini, i pisani e tutti i toscani non sono dei paurosi, ma gente stanca di tremare ogni volta che piove perché qualcuno, nei Palazzi, si è dimenticato di rinforzare gli argini, di rialzare la diga di Levane, di costruire le casse d’espansione o, più, semplicemente, di stasare lo Scolmatore.


Sandro Bennucci

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