Foibe, ferita troppo spesso dimenticata
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento in aula del Presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Alberto Monaci, in occasione del «Giorno del Ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, e delle vicende del confine orientale al termine della seconda guerra mondiale.
Siamo qui, nel Giorno del Ricordo, per rivolgere prima di tutto il nostro omaggio a tutte le vittime delle Foibe e per ricordare, al tempo stesso, una delle pagine più drammatiche della nostra storia. Le foibe, la deportazione e l’esodo da Fiume, dall’Istria e dalla Dalmazia sono una ferita sulla quale è stata stesa, per troppo tempo, una cortina di silenzio. E non vanno stigmatizzi gli intenti dichiaratamente strumentali, provocatori e oltraggiosi che abbiamo letto sui giornali in questi giorni, bensì condannati senza mezzi termini. Il Giorno del Ricordo rappresenta in primis un atto di giustizia per tante vittime innocenti e per le loro famiglie, deve essere lo strumento da cui partire per costruire una memoria condivisa. Una memoria, rivolta in particolare ai giovani, fondamento di un sentimento e di un futuro di pace
Per decenni, come dicevo, questa barbarie è stata nascosta, tanto che l’agenzia di stampa «Astro 9 colonne», nel fare un conteggio dei lanci di agenzia pubblicati dal dopoguerra ad oggi sul tema delle foibe, ha scoperto che fino al 1990 erano stati poco più di 30. Negli anni recenti ogni anno ce ne sono stati addirittura più di 200. A dimostrare come la congiura del silenzio fu una fase sicuramente meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio. Un oblio a cui proprio dieci anni fa l’Italia pone fine a 60 anni di silenzio con l’istituzione di questo giorno. La ricerca dei motivi del silenzio va lasciata agli storici, la situazione era difficile e sicuramente la Jugoslavia di Tito era una realtà strategica, che faceva da cuscinetto tra Occidente ed Urss.
Tuttavia durante le trattative per arrivare ad una risoluzione della questione italo – jugoslava attorno ai territori triestini e istriani, vi furono dubbi e preoccupazioni anche di fronte alle mosse anglo – americane, temendo che l’Italia si sarebbe trovata un’altra volta sconfitta. Per contro, non sfuggivano alle cronache le drammatiche vicende degli eccidi nelle foibe istriane: ad esempio, Guareschi trascriveva quanto leggeva dai bollettini e dai quotidiani inviatigli dai lettori di Candido, settimanale umoristico che contava firme di primo piano come Mosca, Montanelli o Leo Longanesi .
Tutto ciò dimostra come l’odio e la pulizia etnica sono stati l’abominevole corollario dell’Europa tragica del Novecento, squassata da una lotta senza quartiere fra nazionalismi esasperati. La memoria tuttavia ci aiuta a guardare al passato con interezza di sentimenti, a riconoscerci nella nostra identità di Italiani, a radicarci nei suoi valori fondanti per costruire un futuro nuovo e migliore.
E in questo esercizio è la visione europea che ci permette di superare ogni tentazione di derive nazionalistiche, di far convivere etnie, lingue, culture e di guardare insieme con fiducia al futuro. È in Europa che dobbiamo trovare nuovi stimoli, facendo leva anche sulle minoranze che risiedono all’interno dei nostri Paesi e che costituiscono nello stesso tempo una ricchezza da tutelare, un’opportunità da comprendere e cogliere fino in fondo.
Questa prospettiva di futuro la dobbiamo tanto alle generazioni che hanno sofferto nel passato quanto alle nuove, cui siamo in grado di prospettare società più giuste e più solidali, capaci di autentica coesione perché nutrite di senso della storia, ricche di una travagliata e intensa esperienza di riconciliazione e di un nuovo impegno di reciproco riconoscimento.
Nene
Bravo Presidente!!!
Ci sono voluti 60 anni di silenzio per capire che gli Istriani non erano solo fascisti, ma italiani a tutti gli effetti eredi di quella Serenissima Repubblica di Venezia che tanto ha concorso all’affermarsi degli ideali di libertà e giustizia; come Francesco Petrarca, in una lettera inviata ad un suo amico di Bologna nell’agosto del 1321, così descriveva:
« […] quale Città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio dei buoni e solo porto a cui, sbattute per ogni dove dalla tirannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uomini che cercano di condurre tranquilla la vita: Città ricca d’oro ma più di nominanza, potente di forze ma più di virtù, sopra saldi marmi fondata ma sopra più solide basi di civile concordia ferma ed immobile e, meglio che dal mare ond’è cinta, dalla prudente sapienza de’ figli suoi munita e fatta sicura ».
Ho potuto toccare con mano in tempi in cui non si sentiva e non si doveva parlare delle foibe che cosa furono e il dolore di tante famiglie italiane sballottate per l’italia con le loro poche cose che nonostante il regime di Tito ogni anno tornavano in quella che era stata la loro terra di nascita per onorare di nascosto i loro morti nelle foibe.