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Quando Renzi prende il posto del Biancone

Il Biancone in piazza della Signoria a Firenze
Il Biancone in piazza della Signoria a Firenze

Firenze, piazza della Signoria, un sabato di febbraio quasi primaverile. I monumenti storici non sono più, almeno per un giorno, l’attrazione principale di turisti e passanti. Tutti cercano o sperano di vedere Matteo Renzi all’uscita di Palazzo Vecchio.

Il Biancone, come i fiorentini hanno da sempre chiamato la fontana del Nettuno, sembra quasi imbarazzato. Stessa cosa per il Perseo del Cellini sotto la loggia dei Lanzi e per il Ratto delle Sabine del Giambologna. Si sentono ignorati, nonostante i secoli di storia di cui sono stati testimoni diretti.

MATTEO – Tutti gli occhi della piazza, macchine fotografiche e telecamere oggi sono puntati alla ricerca di «Matteo», come viene chiamato da ogni fiorentino che crede di contare. Sono molto pochi quelli che gli danno del lei o che lo chiamano semplicemente «sindaco». Tutti suoi amici da sempre. E in aumento vertiginoso. «Dov’è?» «Quando arriva?» Domande che si rincorrono tutta la giornata, mentre al Biancone sale l’invidia. Se potesse girare gli occhi, li punterebbe – c’è da scommetterlo – sulla lapide poco distante nella piazza, che ricorda il luogo dove fu bruciato il Savonarola più di cinque secoli fa.

ASCESA – Renzi va a Roma, ma non sembra lasciare pietre miliari dietro a sé. In dieci anni è passato da giovanissimo presidente della provincia a sindaco e quindi segretario del Pd. Passano poche settimane, ed eccolo in attesa di ricevere l’incarico di presidente del consiglio, dopo che lo stesso Pd ha sfiduciato il premier in carica Enrico Letta, sempre del Pd.

SGABELLO – Il Biancone da secoli ha la testa girata verso la piazza, quasi a vedere chi esce da Palazzo Vecchio. Stavolta sembra quasi voler attendere «Matteo», come per dirgli ironicamente: «Auguri a te! Ma cosa hai fatto davvero in questi anni di memorabile per la provincia e per la città? Non è che ti siamo serviti come sgabello per la tua carriera?».

POTERE – Il punto è uno solo. Renzi avrebbe avuto molto più potere a fare il segretario del Pd, anzi da regista della maggioranza. E invece ha scelto di bruciare i tempi e – come dice lui stesso – di «metterci la faccia» anzi di «prendere il vento in faccia». Apprezzabile, specie davanti all’opinione pubblica all’affannosa e continua ricerca del «nuovo».

MISSION – Resta però legittimo il dubbio che non sia tutta farina del suo sacco, e che la fretta di arrivare a fare il presidente del consiglio – specie alla vigilia dal semestre italiano alla guida dell’Unione Europea – venga da lontano. Senza elezioni e senza nomina popolare. Come se qualcuno ce lo avesse mandato. Con quali scopi e con quale «mission» è tutto da chiarire.

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Sandro Addario

Giornalista

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