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Un detenuto nella sua cella del carcere Gozzini di Firenze

La strana voglia di tornare in carcere

Un detenuto nella sua cella del carcere Gozzini di Firenze
Un detenuto nella sua cella del carcere Gozzini di Firenze

Qualche giorno fa un ragazzo giovanissimo, in carcere da alcuni mesi per la prima volta, mi chiese: «Ma quanto tempo può resistere una persona dentro un carcere?». Compresi subito che la sua domanda era particolarmente ingenua e forse comunicava indirettamente la fatica a sopportare lo stato di detenzione, la privazione della libertà. Non rimasi indifferente e iniziai a riflettere sulla questione.

ESPERIMENTO – Oltre alla mia esperienza personale del carcere, conosco solo un dato scientifico in questo senso. Si tratta di uno studio attuato in America intorno alla metà degli anni ’70 e commissionato da un governo dell’epoca al dottor Milgram, un noto psicologo di scuola comportamentista. Si trattò di un esperimento che successivamente alla sua realizzazione suscitò numerose polemiche e i cui dati furono per lungo tempo tenuti segreti per non determinare allarmismo sociale.

SIMULAZIONE – Nell’esperimento, se ricordo bene, furono coinvolte circa venti persone. Dietro un congruo compenso avrebbero dovuto ricoprire in parte il ruolo di agenti penitenziari, ed in parte quello di detenuti. In un apposito locale fu simulato un carcere a tutti gli effetti, con celle arredate come nelle comuni prigioni, sbarre e quant’altro. Dopo un certo periodo vennero prelevate all’improvviso dalle proprie abitazioni tutte le persone che avevano dato la disponibilità a ricoprire il ruolo di detenuti e, successivamente, furono portate in carcere seguendo la prassi ordinaria: perquisizioni, cambio di abiti, impronte digitali ecc.

COMPORTAMENTO – Cosa accadde? Dopo qualche giorno l’esperimento si dovette interrompere per gli effetti devastanti che stava causando alle persone che facevano i detenuti. I loro comportamenti furono descritti in: abietti, spaventati, sottomessi ed in preda a crisi ininterrotte di panico e nervosismo. Molti di questi rinunciarono persino al compenso economico pur di uscire subito da quella situazione.

PATOLOGIE – Chiaro è che gli effetti di una detenzione, nonché dei danni e patologie che causa a breve, medio e lungo termine alla persona, attualmente vengono messi in secondo piano e sono per lo più sconosciuti alla collettività. Ci sono molti discorsi in giro che rappresentano luoghi comuni, chiacchierate da bar, intenti di giustizia sommaria e vendetta sociale, ma poche sono le analisi e discussioni che si avvicinano ad un piano di verità e conoscenza concreta della realtà del carcere.

RESISTERE – Una persona quando viene messa in carcere, se non si impicca come succede spesso o tenta in qualche altro modo di suicidarsi perché non regge alla prova, resiste per tutto il tempo della durata della pena, questo è chiaro. L’unico problema consiste nel fatto che per riuscire a resistere a questa condizione del tutto innaturale e durissima sovente si sviluppano dei problemi psicologici che perdureranno per tutto il resto della vita e che condanneranno la persona una seconda volta attraverso il disagio che si manifesterà e che dovranno imparare a riconoscere ed accettare come conseguenza inevitabile.

DIPENDENZA – Un classico esempio di patologie che colpiscono le persone che restano per lungo tempo in carcere è l’istituzionalizzazione. Si tratta di una grave forma di dipendenza da carcere. In altre parole quando si ritorna ad essere liberi non si è più capaci a fare una vita normale e tendenzialmente si cerca di rientrare subito in carcere, attraverso un processo inconscio. Le cause di questa grave patologia possono essere ricercate, soprattutto ma non solo, nella spersonalizzazione e nella destrutturazione del sé che avviene durante lo stato di detenzione, in questo tipo e modello di prigione.

Froski
Persona detenuta presso la Casa Circondariale Mario Gozzini di Firenze

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