Parla il cappellano: «Il carcere offra lavoro non vendetta»
Sono padre Davide, frate domenicano, attualmente cappellano di Solliccianino, ma nelle patrie galere da quasi venticinque anni, di cui diciotto passati interamente sulla Casa di Reclusione di Gorgona.
DIRITTO – Premesso che uno Stato di diritto, come il nostro, è chiamato innanzi tutto a superare il conflitto e non a suggellarlo, mi chiedo se non sia arrivato il momento epocale per tutti di ripensare in toto il problema carcerario. In attesa, si fa presto a dirlo, rimangono le carceri, immagini speculari e fedeli della nostra società. In attesa rimane Solliccianino, un carcere a custodia attenuata, più umano dunque, ma non di certo paradiso, perché un carcere non può, né potrà mai essere un paradiso! Eppure Solliccianino o Casa Circondariale “Mario Gozzini”, rimane nello scenario quasi apocalittico delle carceri, un’eccezione mirabile, ma dovrebbe essere la regola ed invece rischia di essere cancellato o comunque paurosamente ridimensionato.
LAVORO – Non è il carcere che non funziona e sembra un paradosso dirlo, ma è lo Stato che non funziona; è il Ministero della Giustizia (la Grazia guarda caso è sparita!) che viene meno ad un dovere importantissimo per la qualità di tutti i detenuti: il lavoro, espressamente previsto e scritto nello stesso ordinamento penitenziario, come uno degli elementi cardini del trattamento. È uno Stato, il nostro, che alla faccia della rieducazione e del reinserimento, invoglia vergognosamente i suoi detenuti-cittadini, alla più completa vita parassitaria. Bisognerebbe avere il coraggio di uscire, una volta per tutte, dalla logica perversa degli interventi legislativi di emergenza, per entrare finalmente nella logica della santa normalità.
GALERA – Ma non c’è solo Solliccianino con i suoi tanti problemi. Ci sono carceri, che scoppiano da troppo tempo, gremiti fino all’inverosimile per colpa di leggi ingiuste ed inique; l’aumento paurosamente allarmante di detenuti suicidi; malati di Aids o comunque tossici, che dovrebbero stare dappertutto meno che in galera; l’incredibile aumento dei minorenni nelle nostre galere, in barba alla prevista chiusura dei carceri minorili nel lontano 1989 e non ultimo i tanti, i troppi extra-comunitari presenti, che non avendo punti di riferimenti esterni, non sono italiani nè europei, non possono di fatto accedere ai permessi premio e si fanno due volte la galera.
NAPOLITANO – Se poi, quest’ultimi hanno la sfortuna di avere a fine pena, anche l’espulsione coatta, vengono comunque espulsi, pur sapendo che verranno di certo condannati a morte nei loro paesi. Ricordo a questo proposito, di aver scritto personalmente all’allora ministro degli interni, Giorgio Napolitano, ora Presidente della Repubblica e dopo di me, gli scrissero il Direttore di Gorgona ed il Vescovo di Livorno: aspettiamo ancora risposta!
FAMIGLIE – Ma quello che mi preoccupa seriamente è il gravissimo problema delle famiglie, che subiscono, loro malgrado, le pene inflitte ai loro congiunti con perquisizioni e toccamenti vari, che offendono il più elementare pudore della dignità umana. Se poi a questo si aggiungono i divieti d’incontro, penso allo stramaledetto 41 bis, che il ministro Alfano minaccia di voler inasprire ancora di più, altro che carceri della speranza!
PIANOSA – Tempo addietro ho visitato l’ex carcere di massima sicurezza di Pianosa ed ho provato dolore per tutte le offese gratuite recate al genere umano, come non bastassero quelle già esistenti. Tutto sistematicamente murato sul pavimento: letto, tavolo, sedia, i detenuti venivano sorvegliati 24 ore su 24, anche quando stavano nel bagno. Saranno anche dei bastardi, non lo nego, ma sfido chiunque ad uscirne migliore, dopo un trattamento simile, sfacciatamente vendicativo e cosa ancora più grave, perseguito e voluto proprio dallo Stato.
DELAZIONE – Per non parlare del vergognoso invito dello Stato alla delazione, alias collaborazione, come se non si sapesse da machiavellica memoria, che il fine non giustifica mai i mezzi e perciò umanamente scorretta, eticamente immorale e legalmente illecita. Li chiamano anche pentiti, termine quanto mai improprio, perché prettamente religioso. Ci si penta pure dei propri errori, anche di fronte al mondo, ma ci si fermi qui, per carità. È difficile credere ai pentimenti, che provocano arresti, quando dietro c’è il perverso allettamento di uno Stato, che se parli ti sconta la pena, se parli ancora ti mantiene, a nostre spese e se parli troppo ti cambia i connotati, residenza e ti assicura uno stipendio. Una giustizia così mercanteggiata, non è degna di tale nome. Strana una Chiesa che su argomenti come questi scelga il solito silenzio.
BENEFICI – E che dire dell’agonizzante “legge Gozzini” con i suoi ben noti benefici a favore dei detenuti? Rischia di essere completamente vanificata, vuoi per le sue continue modifiche in senso sempre e soltanto restrittivo, vuoi perché da troppi interpretata secondo una sterile logica del «do ut des». “Basterebbe – e a dirlo è un ex magistrato, Giancarlo De Cataldo – strutturare permessi, licenze, semilibertà e tutti gli istituti alternativi alla detenzione insomma, non più come benefici legati all’idea di un premio, ma alla stregua di diritti a cui tutti i detenuti possono accedere, dopo aver espiato una certa quota di pena”.
UMANIZZAZIONE – Sarebbe davvero, dico io, un ulteriore e decisivo passo avanti verso la tanta declamata umanizzazione del pianeta carcere. Smettiamola di concepire il carcere in maniera idealista, quasi fossimo noi in grado di poter rieducare o reinserire qualcuno, premiando i buoni e castigando i cattivi. Alle volte ho quasi l’impressione che tutti, nell’amministrazione penitenziaria, vogliano fare il prete… Forse ne guadagneremo tutti se anziché profanare le coscienze altrui, ci sforzassimo, Stato per primo, a fornire al cosiddetto reo, strumenti veri, concreti, che siano davvero alternativi alla sua devianza. Non sarebbe giusto fosse lo Stato in primis, che si arroga a torto o a ragione di sbattere qualcuno in galera, ad avere il dovere sacrosanto di dare lavoro al detenuto, dentro e soprattutto fuori dalla galera?
MACHIAVELLI – Machiavelli sosteneva, in un celebre capitolo del Principe, che il buon politico deve conoscere bene le arti del leone e della volpe. E sappiamo bene che il leone e la volpe sono simbolo della forza e dell’astuzia. Forza per portare avanti le riforme, anche se impopolari; astuzia, per non lasciarsi impelagare dalle pastoie burocratiche ed è con questo spirito che mi auguro presto, molto presto, un atto non di clemenza, ma di giustizia dal Ministero della… Giustizia con un giusto indulto ed una opportuna amnistia. Il resto è nelle nostre mani e per chi ci crede ancora, nelle mani di Dio.
padre Davide Mario Colella o.p.
Cappellano di Solliccianino
LA VIGNETTA DI MERCOLEDÌ
ARTICOLI CORRELATI
22 dic 2013 –Una voce dal carcere
22 dic 2013 –È Natale anche a Solliccianino
30 dic 2013 –Pensieri e riflessioni in cella
06 gen 2014 –Solliccianino: dietro le sbarre c’è anche musica
14 gen 2014 –Appello da Solliccianino: «Non ci stiamo più, raddoppiati i detenuti»
20 gen 2014 –Io, suora missionaria nelle carceri
29 gen 2014 –«Abbiamo sbagliato ma siamo persone umane»
09 feb 2014 –Sono in prigione per la prima volta
19 feb 2014 –La strana voglia di tornare in carcere
24 feb 2014 – Noi detenuti in attesa di rieducazione