Antognoni, 60 anni: auguri al capitano viola per sempre
Due bei compleanni segnano l’avvio di questa settimana, a Firenze. Non di politici, non di potenti, ma di personaggi veri, molto amati dalla città. Lunedì 31 marzo compie cent’anni, un grandissimo traguardo, monsignor Angiolo Livi, priore di San Lorenzo, di cui stiamo pubblicando da giorni anche l’intervista “parlata”. Martedì 1 aprile finirà 60 anni Giancarlo Antognoni, simbolo della Fiorentina, forse il giocatore viola più amato di tutti i tempi.
Ed è proprio su di lui che voglio richiamare l’attenzione, per festeggiarlo come merita e per aggiungere due cose. La prima si riferisce a un ricordo molto personale ma sempre legato alla Fiorentina: cioè il fatto che, più di 40 anni fa, grazie ad Antognoni realizzai uno dei primi scoop della mia carriera, ossia l’intervista esclusiva a lui che stava per debuttare in serie A. Significa che contribuii a farlo scoprire prima dell’esordio a Verona, il 15 ottobre 1972.
BANDIERE – La seconda è una considerazione se vogliamo un po’ amara: nonostante sia diventato un simbolo per Firenze, Antognoni è da anni fuori dalla Fiorentina. Destino purtroppo comune ad altri giocatori-bandiera. E’ fuori dal Milan Gianni Rivera, mai amato da Berlusconi; è fuori dall’Inter Sandro Mazzola, campione e figlio di un grandissimo campione (Valentino); è fuori dalla Juventus Alessandro Del Piero, emigrato in Australia. La lista potrebbe allungarsi. Rara eccezione la Federcalcio, che per anni ha fatto accompagnare la Nazionale da un simbolo per tutti: Gigi Riva. Ma arrivo al punto: è un male che i grandi club non trattengano in società i calciatori che hanno onorato la maglia. Perchè si alimenta la percezione del mercenario, che gioca bene anche in attesa dell’offerta sostanziosa di un altro club. Per la gioia del procuratore. Antognoni rifiutò di lasciare la Fiorentina. La famiglia Agnelli, dall’Avvocato in giù, non ha mai nascosto di essere rimasta di sasso di fronte al suo rifiuto di andare alla Juve. Antognoni ha messo Firenze dalla parte del cuore, invece del portafogli.
COVERCIANO – Personalmente, il ricordo vivo risale a un pomeriggio dell’autunno 1971 al bar di Coverciano. Prendevo rassegnato il caffè in attesa dell’allenamento della nazionale juniores di Azeglio Vicini. Lì davanti, anche loro con la tazzina in mano, gli inviati dei grandi giornali, impegnati a dissertare con Ferruccio Valcareggi sulla staffetta Rivera-Mazzola (un anno dopo i mondiali messicani…) e sulle condizioni di Gigi Riva. Li invidiavo, così come li guardava incuriosito un altro giornalista che sarebbe diventato famoso, Mario Sconcerti, anche lui allora impegnato con gli azzurrini juniores. Stavamo per pagare quando arrivò Vicini. Gli brillavano gli occhi. Volle offrire lui i caffè. D’un fiato, annunciò: «Oggi vedrete un ragazzo prodigioso. E’ umbro ma gioca nell’Asti Macobi, in serie D. Si chiama Antognoni…».
TALENTO – Poco dopo Giancarlo Antognoni era lì, sul campo, più elegante e aggraziato degli altri, un talento arrivato dal mistero: palla colpita di collo con potenza mai viziata da effetti sgradevoli. Bene anche il sinistro, ma usato solo per necessità, quando deve liberare il destro alla battuta. Il dribbling? Un rischio da correre per potersi poi sfogare con la botta dritta. Lo volevano in tanti, il giovane Antognoni. Ma prima che la stagione 1971-72 finisse, la Fiorentina bruciò tutti: d’accordo con l’allora presidente, Ugolino Ugolini, l’uomo-mercato del momento, Egisto Pandolfini, consegnò ai dirigenti dell’Asti un assegno da 90 milioni e prese la comproprietà di Antognoni. Che un anno dopo (estate 1973) sarebbe stato quotato 700 milioni e riscattato completamente dalla Fiorentina con un altro assegno da 350 milioni.
SCOOP – Nella stagione ’72-73, allenatore viola era Nils Liedholm, che voleva lanciare volti nuovi. Andrea Orlandini, detto «Birillo», sanfredianino doc, era già entrato nelle sue grazie. Antognoni aspettava. Ma tanti giornalisti si stavano interessando a lui per intervistarlo prima del debutto. E proprio su questi colleghi «già arrivati», più o meno gli stessi del bar di Coverciano dell’anno prima, mi presi un’intima rivincita a ottobre 1972. La Fiorentina andò a giocare la finale di ritorno della Mitropa Cup a Zenica, in Bosnia (a quel tempo ancora federata nella Jugoslavia) contro il Celik. Fra i convocati c’era Antognoni, che non giocò ma era lì, a portata della mia penna. Infatti ero alla prima memorabile trasferta giornalistica, inviato di «Stadio» (allora dello stesso gruppo de La Nazione dove ho lavorato per oltre 40 anni) al seguito della squadra viola a Zenica. Ma il colpo, lo «scoop», fu l’intervista esclusiva ad Antognoni una decina di giorni prima dell’apparizione in serie A, in Verona-Fiorentina, il 15 ottobre 1972. Firmai con orgoglio non solo il resocono di Celik-Fiorentina, ma soprattutto il pezzo aggiuntivo con le impressioni di «Antogno» che stava diventando titolare. Ed ebbi la soddisfazione, grazie a lui, di essere entrato in gioco anch’io: cioè nella cerchia dei giornalisti «veri». Grazie ancora Giancarlo: e un mare d’auguri per i tuoi magnifici 60 anni.