Dalla Toscana altolà a Renzi: non svuotare le Regioni dei loro poteri
FIRENZE – Dalla Toscana alcune raccomandazioni a Renzi sulla riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione. Le ha inviate il Consiglio regionale riunito in seduta straordinaria. Alberto Monaci, il presidente,ha affermato che «la riforma deve contemplare la conferma delle Regioni come organi rappresentativi delle comunità regionali, dotati di funzioni legislative, con organi eletti dal popolo a suffragio universale». Il progetto approvato, a suo avviso, «rischia di incentivare quel che si voleva evitare» per quanto riguarda il contenzioso in Corte Costituzionale sui conflitti di competenze fra Stato e Regioni «acriticamente assunto quale parametro della riforma», perché «la sua recrudescenza negli ultimi anni è prevalentemente dovuta al principio di coordinamento della finanza pubblica quale motore dell’ingerenza statale».
CONFRONTO – Il Governo e la maggioranza che lo sostiene non possono derogare da un confronto di merito su aspetti dirimenti per il futuro delle Regioni ed il loro prossimo ruolo nell’architettura dello Stato, ha ricordato Monaci, secondo il quale «nel testo novellato dell’articolo 117 vi sono spazi di incertezza e anche qualche omissione, e il rischio è quello di una riforma che non semplifica ma complica». Monaci ha infine sottolineato la necessità di definire funzioni standard e costi standard per i vari assetti istituzionali, dal Governo al Parlamento, dalle Regioni ai Comuni, cosicché siano noti ai cittadini.
ROSSI – Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, intervenuto alla seduta, ha posto un inquietante interrogativo: «Si pensa davvero che il pendolo debba oscillare verso un nuovo centralismo romano?». Si è quindi chiesto se non vi sia «il riaccentramento del governo delle decisioni e della loro implementazione». Secondo Rossi, che ha affermato di voler «leggere positivamente l’impianto della proposta» avanzata dal governo sul Senato e sulle Regioni, e che non trova sbagliato «introdurre in Costituzione il concetto di comunità regionali», l’orientamento volto a ridefinire i poteri delle Regioni nasce dal fallimento di «un federalismo degli staterelli travolto dalla crisi della globalizzazione, dal governo centrale che vi ha scaricato i suoi costi finanziari, e da comportamenti eticamente disdicevoli». Il neocentralismo però è, a suo avviso, «una nuova illusione che il Paese rischia di correre», per cui «su questo bisogna alzare la voce: in gioco sono il governo del Paese, e le esigenze dei settori economici e sociali».
POTERI – Dietro la dichiarazioni di massima e di principio dei due presidenti si cela però anche la volontà di non voler cedere potere, soprattutto a favore dello Stato. La riforma prevede, in sostanza, che vengano riaffidate alla competenza esclusiva dello Stato quelle materie concorrenti che la deleteria riforma del 2001 aveva affidato in parte allo Stato e in parte alle Regioni, creando un enorme contenzioso davanti alla Corte Costituzionale. Si tratta di materie quali le norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza del lavoro; l’ ambiente, ecosistema, beni culturali e paesaggistici; norme generali sulle attività culturali, sul turismo e sull’ordinamento sportivo; il sistema nazionale e coordinamento della protezione civile; le infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale ed altre. Tuttavia la riforma, che torna indietro rispetto alla sbornia federalista del testo del 2001, vuole salvaguardare, correttamente, l’interesse nazionale. E questo dovrebbero comprenderlo bene anche politici responsabili come si sono sempre dimostrati quelli toscani.