Processo alle scarpe: la Corte di Giustizia Ue tuteli il «made in Italy »
MILANO – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovrà pronunciarsi su una causa-pilota che oppone l’industria conciaria italiana (Unic) e l’associazione dei consumatori di articoli in pelle (Unicopel) ad alcuni commercianti di Milano, Pisa, Napoli e Roma. Che, nel 2013, avevano posto in commercio scarpe al prezzo di 20-30 euro al paio senza applicare una scritta indicante il paese produttore, il cosiddetto «made in…».
TRIBUNALE – Il tribunale delle imprese di Milano ha sospeso il giudizio in attesa che la Corte di Giustizia si pronunci su un conflitto emerso tra legge italiana e direttive comunitarie. Il contrasto si pone fra la legge italiana n.8 del 2013, che impone di indicare il «made in…» per prodotti realizzati all’estero e venduti in Italia che recano le scritte in italiano cuoio, pelle, pellicceria, e la direttiva comunitaria n. 94/2011 che invece stabilisce che gli Stati UE non possono impedire la vendita di calzature conformi ai requisiti di etichettatura. Le calzature – oggetto scatenante della causa – recano l’etichetta informativa con descrizione delle caratteristiche di base delle componenti della scarpa, tomaia, suola esterna, suola interna, materiali (cuoio, pelle, ecc.) ma non il «made in…».
SCARPE – Incaricati di Unic e Unicopel nel 2013 avevano acquistato scarpe a basso prezzo in negozi di Milano, Roma, in provincia di Pisa e a Napoli, quindi, esaminando gli articoli, hanno avviato una causa civile sostenendo che le calzature, avendo la scritta «vera pelle» nella tomaia ed altre scritte in lingua italiana, fossero ingannevoli per il consumatore portato a credere che tutto il prodotto fosse di vera pelle e realizzato interamente in Italia. Mentre, da un lato, la pelle si limitava al sottopiede su cui veniva riportata la scritta e, dall’altro, l’articolo non era fatto in Italia. Unic e Unicopel hanno chiesto al tribunale di Milano che, per la fortissima ambiguità delle caratteristiche degli articoli venisse ritirata la merce dal mercato, fissando una penale per ogni inosservanza e per ogni giorno di ritardo. Nella causa è stato chiesto al Tribunale di rivolgersi alla Corte di Giustizia per valutare la compatibilità tra la disciplina italiana e quella comunitaria.
CORTE – Quali sono i poteri della Corte di Giustizia Ue, che ha sede in Lussemburgo? In pratica la Corte valuta se una legge nazionale contrasti con le norme europee che regolano la materia. Se la Corte decide che la normativa nazionale è contraria alla disciplina comunitaria, l’organo giurisdizionale nazionale e lo Stato membro sono tenuti a uniformarsi alla decisione, In questo caso si tratta di una disciplina variegata, che interessa la libertà di commercio, l’etichettatura dei prodotti, la tutela, ove previsto, del made in, e ovviamente la difesa dei consumatori. La Corte in passato è intervenuta con sentenze fondamentali che hanno permesso di interpretare il diritto comunitario e eliminare ostacoli alla libera circolazione delle merci e alle importazioni opposti da alcuni Stati membri. Famosa è stata la sentenza , emessa nel 1979, detta «Cassis de Dijon» dal nome di un liquore francese la cui commercializzazione era vietata in Germania.
QUALITÀ – La Corte allora sancì che gli articoli prodotti conformemente alle norme legali di uno stato membro dell’Unione Europea possono in genere essere venduti negli altri stati membri (cd. principio Cassis de Dijon). La Corte, in tal modo, ha costretto allora i Paesi membri dell’Europa a compiere un passo fondamentale verso l’abbattimento delle barriere del protezionismo, soprattutto se dovute a motivazioni tecniche. Anche in questo caso, con la sentenza che verrà emanata in tema di commercializzazione delle scarpe, la Corte potrebbe dare veramente un indirizzo preciso a questa delicata materia, ma è ovvio che si debba salvaguardare la qualità dei prodotti, quelli marcati e garantiti, anche dal punto di vista della salute del consumatore, dal marchio «made in Italy».