La crocifissa poteva essere salvata: da anni l’idraulico lasciava tracce
Andreea Cristina Zamfir poteva essere salvata. È vero che gli inquirenti hanno lavorato benissimo e celermente, arrivando quasi subito alla soluzione di un caso che aveva fatto ripiombare Firenze nell’incubo di un secondo mostro. Ma è altrettanto vero che un maggiore coordinamento, in passato, e un rapido incrociare di notizie fra procure avrebbe forse permesso di arrivare all’individuazione del presunto maniaco con un certo anticipo. E quindi a prenderlo prima che potesse uccidere.
Intanto lode e rallegramenti a chi ha condotto l’operazione, capace di tranquillizzare l’opinione pubblica. Il Questore Raffaele Micillo e i suoi uomini hanno ricevuto i complimenti anche dal ministro Angelino Alfano:naturalmente via twitter, seguendo una moda giovanilista instaurata dal premier Matteo Renzi.
INVESTIGAZIONI – Ma a mente fredda ritengo opportuno fare un’altra riflessione. Si sarebbe potuti intervenire prima, collegando fra loro fatti che adesso scopriamo presentare inquietanti analogie? Gli investigatori, nell’ambito di ciascuna procura della repubblica, in precedenza non hanno pensato di collegare episodi simili e non si sono perciò confrontati con altri inquirenti. Si sarebbe potuto evitare la morte atroce di Cristina se ci fosse stato un maggior approfondimento di episodi che forse sono stati ritenuti all’epoca marginali, visto che avevano colpito alcune prostitute senza conseguenze letali?
MOBILE – Il dirigente della squadra mobile di Firenze Lorenzo Bucossi aveva fin dall’inizio affermato che le indagini si sarebbero rivolte anche ad alcuni episodi avvenuti in passato che presentavano analogie con l’ultimo delitto di Firenze, ma non solo. L’esame è stato esteso a fatti simili avvenuti negli ultimi dieci anni , nessuno dei quali aveva però condotto a un omicidio. Tra le prime testimonianze raccolte c’era quella di una prostituta romena che affermò di aver subito, due anni fa, le stesse sevizie.
PROCURE – Fra i precedenti sei casi sui quali hanno indagato polizia e carabinieri – e stavolta insieme le procure di Firenze e Prato – ce n’era uno avvenuto nel campo delle Bartoline, a Calenzano alle porte di Firenze, dove un’altra prostituta venne seviziata con un manico di scopa. In quello stesso luogo il 22 ottobre 1981 vennero uccisi Stefano Baldi e Susanna Cambi, un duplice omicidio che, come noto, fa parte di quelli attribuiti al Mostro di Firenze, a Pietro Pacciani e ai suoi compagni di merende. Dopo l’ultimo grave fatto di Ugnano, sfociato in un omicidio, gli inquirenti hanno collegato fra loro fatti e misfatti, indizi e testimonianze, arrivando celermente all’individuazione del presunto responsabile, che avrebbe già confessato, e sul quale gravano pesanti indizi. Si tratta di un fiorentino, Riccardo Viti, idraulico 55nne, un individuo comune, non una raffinata mente criminale.
COORDINAMENTO – Ricordo – fatte le debite proporzioni e considerato il differente contesto, più semplice da interpretarsi – un episodio che mi capitò nel 1997, quando ero prefetto di Pavia. Avevo chiesto a polizia e carabinieri un dettagliato rapporto sulle presenze della criminalità organizzata di stampo mafioso in quel territorio, dove operavano tre procure, Pavia, Vigevano e Voghera. Ritenni opportuno informare i tre procuratori di quanto era emerso, che risultava preoccupante soprattutto nell’agro di Vigevano, ma interessava parzialmente anche Pavia e Voghera. Chiesi all’allora coordinatore della Dda milanese, Francesco Saverio Borrelli, se volesse organizzare lui una riunione congiunta con la mia partecipazione. Il capo del pool di Mani Pulite rispose che potevo informare direttamente io i tre procuratori, che avevano certamente chiara la situazione del loro territorio, ma che avrebbero potuto giovarsi di informazioni più ampie. Così avvenne; i magistrati parteciparono a una riunione in prefettura e non si sentirono per niente sminuiti nelle loro prerogative, anzi ringraziarono il prefetto per l’iniziativa, unica allora nel suo genere, almeno in quei territori. La procura di Vigevano andò avanti nelle indagini che portarono alla confisca di beni di una famiglia mafiosa che operava da lungo tempo in quella città, dove era stata trasferita in virtù dell’istituto del soggiorno obbligato.
Quest’ episodio dimostra come sia essenziale che le istituzioni si confrontino e si parlino e come l’azione di coordinamento dei prefetti in sede locale risulti spesso fondamentale. Pensi anche a questo il nostro primo ministro Matteo Renzi che vuole ridurre drasticamente il numero delle prefetture, senza peraltro intaccare i sovradimensionati uffici ministeriali, pletorici non soltanto all’interno, ma in ogni dicastero, ivi compresa la presidenza del consiglio.