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Le scimmiette della par condicio

Non sarà certo il principale problema del Paese, ma questa campagna elettorale ha dimostrato – se mai ce ne fosse stato bisogno – che la par condicio è morta e sepolta. E non tanto perché questo o quel candidato o personaggio politico ha ottenuto maggiori percentuali di presenza televisiva rispetto a quanto le norme vorrebbero, ma perché nell’epoca della condivisione e del passaparola via web si tratta di norme tanto anacronistiche (inventate da Oscar Luigi Scalfaro per mettere una pezza allo strapotere televisivo berlusconiano) quanto dannose.

L’esempio più lampante è quello del divieto di sondaggi negli ultimi quindi giorni di campagna elettorale: pensato per non “influenzare” l’elettorato, si è trasformato non solo in un divieto farlocco, aggirabile da qualunque pubblicazione web che abbia server o dominio fuori dai confini, ma anche dannoso. Perché sui blog italiani i sondaggi circolano, eccome, travestiti da corse di cavalli, ciclistiche, improvvisati conclavi cardinalizi e altri improbabili camuffamenti. Con una piccola particolarità: essendo “clandestini”, questi sondaggi non devono rispettare alcuna norma su campione intervistato, rappresentatività etc. Potenzialmente potrebbero anche essere inventati di sana pianta, eppure stanno condizionando eccome il dibattito politico.

Altra cosa sarebbe, invece, regolamentare in modo più accurato il settore e rendere ancora più stringenti le pubblicazioni, soprattutto se elettorali, nei giorni prima del voto, magari prevedendo audit più ampi o costringendo a diffondere più dati possibili sulla rappresentatività dei campioni. Insomma, più spazio alla professionalità e meno ai fattucchieri delle percentuali, poi regolarmente smentiti dall’esito delle urne.

Del resto, che senso ha vietare i sondaggi quando tutti i leader politici surrettiziamente li citano a piacimento nelle parti che tornano loro più comode? Che senso ha vietare le interviste sui giornali o in tv nelle ultime 24 ore, mentre sui social media (sempre più punto di riferimenti per le campagne elettorali) si può dire di tutto? L’anno scorso, in occasione delle consultazioni politiche, una famosa agenzia di rilevazioni provò a violare il tabu con una “app” dove si sarebbero potuti leggere sondaggi in tempo reale. I burocrati romani dell’Antitrust all’inizio approvarono il progetto, non trattandosi di pubblicazione giornalistica tradizionale, poi capirono che così avrebbe aperto un varco dal quale non si sarebbe tornati più indietro e ne vietò la pubblicazione dei contenuti.

Eppure, qualcuno che riprenda seriamente in mano la materia è auspicabile che ci sia nei prossimi mesi, anche a livello europeo. In queste elezioni, gli olandesi hanno già votato e diffuso i risultati (e si tratta di voti veri, non di sondaggi), i britannici invece hanno votato ma sigillato le urne fino a domenica, gli italiani scrutineranno subito dopo la chiusura delle urne. La verità è che i cittadini sono, o dovranno imparare a essere, molto più maturi di quello che le leggi presuppongono. E se gli elettori americani possono andare ai seggi sulla costa Ovest quando sulla costa Est si conoscono già i risultati definitivi del voto non si capisce perché da noi si impongano recinti che poi nessuno, nella realtà, rispetta. Regolamentare è sempre meglio che vietare. E l’informazione non è mai negativa se l’obiettivo è quello di avere di fronte elettori consapevoli e non addestrabili scimmiette.

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