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Il ruggito di Renzi, il flebile cri-cri di Grillo. Ma il centrodestra non bela

Matteo Renzi mentre vota stamani a Pontassieve
Matteo Renzi mentre vota al seggio di Pontassieve

Sarà stato l’effetto benefico della Colombina dello Scoppio del Carro, che si è portato a casa anche quest’anno per Pasqua; oppure avrà inciso l’esorcismo benefico di Frà Girolamo Savonarola, ossia il comizio finale in piazza Signoria, il 23 maggio, anniversario del rogo del frate domenicano). Fatto sta che Matteo Renzi ha guidato il Pd a un risultato storico: solo la straripante Dc del 1958 riuscì a centrare il 42%. Del resto, il ruggito molto rassicurante di Matteo nell’ultima campagna elettorale sembra più vicino ai toni dei politici del vecchio scudocrociato che a quelli degli antichi esponenti di falce e martello. Sono stati proprio quei toni, impostati per dare fiducia a un Paese disorientato, a vincere sui proclami e sulle minacce di epurazioni di massa (processi a imprenditori, politici, giornalisti…) annunciate da Beppe Grillo, il cui urlo dalle piazze sembra essersi trasformato, a urne chiuse, in un flebile cri-cri.

FirenzePost l’aveva scritto: Grillo diverte, fa ridere come al tempo dei suoi fortunati e affollati spettacoli di trent’anni fa. Ma ha un limite: non dà risposte e non fornisce prospettive. Ed è questo, quasi certamente, il motivo della sua sconfitta. Che rischia di apparire ancora più netta quando il risultato del voto sarà più chiaro in termini assoluti. Nel senso che la fortissima astensione può aver fatto calare i consensi del Movimento 5 Stelle assai più di quanto non appaia dalla valutazione delle percentuali. E questa considerazione può essere utile anche per far capire che, in fondo, la destra non è in caduta libera. Il risultato di Forza Italia, sommato a quelli della Lega, del Nuovo Centro destra di Alfano e dell’Udc e di Fratelli d’Italia, mette insieme un fronte per nulla trascurabile. Che, una volta ricomposto, può cercare di riprendersi anche una bella fetta di quell’Italia che stavolta ha deciso di non andare a votare. Ossia l’Italia moderata. Perché il Pd, e in generale il centrosinistra, si sono ragionevolmente mobilitati, cercando di non perdere nemmeno un voto nel tentativo, riuscito, di neutralizzare il pericolo grillino.

E ora? Da oggi, mentre si procede allo spoglio del voto amministrativo, ricominciano le grandi manovre. Certamente nel centrodestra che vorrà riorganizzarsi per rilanciare la sfida. Ma nemmeno Renzi potrà permettersi di sventolare il risultato delle europee come se fosse la Coppa dei campioni. Lui non è la Merkel che governa la Germania grassa e soddisfatta. L’Italia soffre. Lo scontento, dal punto di vista economico e sociale, è palpabile. Lui ha vinto perché governa da soli tre mesi e ha messo 80 euro nelle buste paga. Ma ora è obbligato a muoversi come se si trovasse in una riedizione di “Lascia o raddoppia”. E’ vero che in campagna elettorale ha detto che questo non era un voto sul governo e che se avesse perso non si sarebbe dimesso. Ma è altrettanto vero che il successo gli impone di bruciare le tappe: cambiando rapidamente la legge elettorale e puntando a elezioni politiche, le uniche capaci di dargli nuova forza in Parlamento. Altrimenti, volendo arrivare a tutti i costi al 2018 con alleati scontenti e bastonati come i montiani di Scelta civica e gli alfaniani del nuovo centro destra, correrebbe il rischio di finire logorato. E contestato dai sostenitori delusi. E Grillo? Anche lui dovrà cambiare modi e strategie. Sennò finirà neutralizzato, praticamente in gabbia: come succede, a Firenze, nel giorno dell’Ascensione, al canterino dal collare giallo da cui Beppe prende il cognome.


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Sandro Bennucci

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