Tempo scaduto per risolvere il problema carcere
Il 28 maggio, due giorni fa, è scaduto il termine che la Corte Europea ha dato all’Italia per affrontare e risolvere il gravissimo problema delle nostre carceri. Poco o niente è stato fatto. Tante leggi, o meglio, leggine, che nulla, in sostanza, hanno ancora risolto rispetto al sovraffollamento.
Una delle grandi verità è quella di iniziare a prendere atto che il carcere è dovrebbe essere la sede in cui vige la legalità, non l’illegalità. Solo così, cioè con il buon esempio, si potrebbe iniziare a rivoluzionare il sistema che vorrebbe (almeno sulla carta) tentare di rieducare le persone che finiscono in carcere.
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Così è scritto nella prima parte dell’articolo 3 della nostra Costituzione. La stessa che spesso rileggo e tento di comprendere. Un tempo non la conoscevo. Non me ne importava un granché della sua esistenza. Abbandonata la scuola dopo la quinta elementare iniziai a vivere ai margini della società, commettendo reati e violando sistematicamente le norme che regolano la civile convivenza. Poi, arrivò un tempo in cui finii in carcere compromettendo irreparabilmente la mia vita.
Trascorsi numerosi anni leggendo libri, nel tentativo di aprire la mente, prendere consapevolezza di me stesso e crescere sotto il profilo della conoscenza e del sapere. Tutto ciò nella convinzione che in qualche modo questa era l’unica possibilità che potevo darmi per cercare di affrancarmi da una condizione di emarginazione e disadattamento sociale.
Facendo un bilancio, però, mi rendo conto qualche volta che forse sarebbe stato meglio non conoscere, non sapere molte cose. Se non altro mi sarei risparmiato tutta una serie di bocconi amari che fanno fatica ad andare giù. Molti di questi riguardano proprio il carcere, le persone che lo popolano e tutto il sistema che lo amministra. La gravità delle condizioni in cui versano le nostre prigioni si pone in antitesi alla civiltà di un paese e alla sua stessa legalità. Quella che dovrebbe essere la prima protagonista di una struttura carceraria.
Sandro F.
Persona detenuta presso la Casa Circondariale «Mario Gozzini» Firenze
LIBERINCARTA: UN ANNO DI BILANCI
Tempo di bilanci per l’attività del laboratorio artigianale Liberincarta, interno all’Istituto penitenziario «Mario Gozzini» di Firenze. Oltre un anno di lavoro. Persone detenute, volontari, insegnanti, educatori, cittadinanza, Comune di Firenze, direzione dell’Istituto coinvolti a vario titolo nel progetto.
Si tratta di un laboratorio multifunzionale. Vengono realizzati lavori in cartapesta, ceramica e bigiotteria che successivamente saranno messi in vendita attraverso eventi e mercatini.
Per ogni iniziativa, solitamente, è collegato un tema sociale. L’ultimo, legato all’evento presso la Libreria delle donne di Firenze, è stato quello della violenza sulle donne e il femminicidio.
Nell’ultimo periodo è stato possibile allestire una sede del laboratorio anche all’esterno del carcere, dove prestano attività lavorativa due persone detenute ammesse al lavoro esterno. A breve termine saranno realizzati sia una serie di eventi e sia dei mercatini, dove sarà possibile esporre e vendere i prodotti.
Froski
Persona detenuta presso la Casa Circondariale «Mario Gozzini» Firenze
ARTICOLI CORRELATI
22 dic 2013 –Una voce dal carcere
22 dic 2013 –È Natale anche a Solliccianino
30 dic 2013 –Pensieri e riflessioni in cella
06 gen 2014 –Solliccianino: dietro le sbarre c’è anche musica
14 gen 2014 –Appello da Solliccianino: «Non ci stiamo più, raddoppiati i detenuti»
20 gen 2014 –Io, suora missionaria nelle carceri
29 gen 2014 –«Abbiamo sbagliato ma siamo persone umane»
09 feb 2014 –Sono in prigione per la prima volta
19 feb 2014 –La strana voglia di tornare in carcere
24 feb 2014 –Noi detenuti in attesa di rieducazione
11 mar 2014 –Parla il cappellano: il carcere offra lavoro non vendetta
23 mar 2014 –Dal carcere al lavoro esterno, un detenuto racconta