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Mondiali 2014, fallimento Italia. Vince l’Uruguay, con un gol di Godin e l’aiuto dell’arbitro: 1-0. Pagelle

Una parata di Buffon: il portierone non ha potuto nulla sull'angolo che ha propiziato il gol di Godin
Una parata di Buffon: il portierone non ha potuto nulla sull’angolo che ha propiziato il gol di Godin

NATAL – Finisce male, per colpa di una nazionale azzurra squinternata, ma anche per mano di un killer: l’arbitro messicano Rodriguez. Che lascia picchiare Balotelli nel primo tempo, e addirittura lo ammonisce, poi s’inventa l’espulsione di Marchisio nella ripresa per una furbata di Arevalo Rios, difensore aggressivo ma soprattutto consumato teatrante. Non basta: l’ineffabile direttore di gara non vede il morso di Suarez, Hannibal, a Guiorgio Chiellini. Con queste decisioni l’arbitro mette l’Italia alla mercè dell’Uruguay che trova il gol decisivo, quello della vittoria e della qualificazione agli ottavi di finale, con un colpo di spalla di Godin. Addio Mondiale 2014. Gli azzurri tornano a casa subito, alla fine della qualificazione a gironi. E’ la seconda volta consecutiva che succede: la prima quattro anni fa, nel Mondiale sudafricano. Ma per trovare un periodo così scuro per il colore azzurro, bisogna tornare molto, ma moltio indietro: l’Italia venne esclusa subito ai Mondiali del ’50, anche quella volta in Brasile, poi a quelli del ’54 in Svizzera. Non si qualificò per Svezia ’58. E fu eliminata nei gironi di qualificazione nel ’62 in Cile e nel’66 in Inghilterra: dalla Corea del Nord. Eccoci al punto, dopo la sconfitta di venerdì scorso dicemmo: si scrive Costa Rica ma si potrebbe leggere Corea del Nord. Purtroppo è andata così. Dopo il secondo posto a Messico ’70 e le straordinarie vittorie nel 1982 in Spagna e nel 2006 in Germania, il calcio italiano rotola nella mediocrità.

PRANDELLI – Colpa di Cesare Prandelli? Il Ct ci ha messo molto del suo. Finora non è mai riuscito a essere vincente, nemmeno quando guidava la Fiorentina, e questo fallimento peserà a lungo su di lui. Le dimissioni non possono attenuare un giudizio assai negativo sulla spedizione azzurra in Brasile. Che parte dalle sue scelte sbagliate, a cominciare dalla decisione di portare attaccanti poco efficaci, che non fanno reparto, come Insigne e Immobile. O giocatori anche di qualità, come Cassano e Cerci, ma per nulla efficaci in un torneo come il Mondiale dov’è richiesta anche sostanza. E non ha avuto fortuna, Prandelli, con l’unico che avrebbe potuto fare la differenza: Mario Balotelli, picchiato e messo in condizioni di non giocare e farsi ammonire dagli uruguaiani, furbi e spregiudicati. Ma, bisogna aggiungere, probabilmente non ben visto dal resto del clan azzurro. A quanto pare, gli juventini lo avrebbero sempre mal sopportato. Insomma, problemi interni e scarsa consistenza sul campo hanno portato l’Italia a una nuova figuraccia mondiale.

Tecnicamente, lo si è visto, l’Italia vale poco. Nessuno ha fatto più del compitino. Con qualche felice eccezione, tipo Darmian e Candreva nella prima partita contro l’Inghilterra. Per il resto nemmeno la dignità e la classe di Pirlo e Buffon, hanno saputo salvare la baracca. E ora? Ricostruire sarà difficile. Negli anni Cinquanta c’erano grandi uomini pronti a far risorgere il colore azzurro dalla cenere: su tutti Artemio Franchi e Ferruccio Valcareggi. Oggi le stelle che brillano sono poche: sia in Federazione che a Coverciano. Responsabilizzare campioni come Giancarlo Antognoni e Roberto Baggio? Potrebbe essere un’idea, ma chissà quanti saranno pronti a mettere i bastoni fra le ruote di fronte a simili prospettive.

CRONACA – E arriviamo alla cronaca del disastro, a questo 24 giugno da cerchiare in nero nell’albo della Federcalcio. I brasiliani di Natal tifano Italia. Diventa così meno imponente l’invasione uruguagia delle tribune dove domina il colore celeste. Tensione alta, come si conviene a una sfida da ok corral: o dentro o fuori. Cesare Prandelli schiera una difesa a tre, con Barzagli, Bonucci e Chiellini, ma i due laterali, Darmian e De Sciglio, possono trasformarsi rapidamente in terzini. A metà campo tornano insieme Pirlo e Verratti, mentre davanti Prandelli ha dato fiducia al super tandem Immobile-Balotelli. Che già nei primi secondi di gioco deve fare i conti con la proverbiale rudezza dei difensori uruguaiani. Che non tirano calci ma si aiutano sempre con le mani. Balotelli è una roccia: resiste. Anche Chiellini è granitico, ma riceve una gomitata in testa dopo qualche minuto.

FURBASTRI – Quanto all’Uruguay, è farcito di vecchie conoscenze “italiane”, da Cavani a Caceres, da Muslera ad Alvaro Gonzalez e Pereira. Proprio Pereira è la prima pedina mossa dal sapiente Oscar Tabarez: entrato in campo a destra, gli viene ordinato di andare a sinistra dopo un attimo. Ma di qua o di là, lui e il giovane Gimenez, sostituto del veterano Lugano, non fanno complimenti. Verratti ne fa le spese, subendo un paio di dolorosi colpi. Gli scambi, anche duri, sono molti, gli affondo pochi. Nessuno vuole scoprirsi. Comunque si gioca col freno a mano tirato, senza accelerazioni, un ritmo da ballo lento, gradito da tutt’e due le squadre visto che si gioca nel forno di Natal, arroventato dal sole delle 13. Al 32’, mentre Balotelli, ammonito, viene ancora provocatoriamente toccato da Godin, è Buffon che deve giganteggiare per fermare prima un’insidiosissima puntata a rete di Suarez e poi, sulla ribattuta, su Lodeiro.

PIRLO – L’Italia dimostra di essere più squadra e, grazie a Pirlo e Verratti, anche di possedere una tecnica più raffinata. Per questo l’Uruguay, squadra fatta da gente di mestiere, cerca di cambiare schemi e gioco buttandola in rissa. Gli azzurri potrebbero tentare azioni più ficcanti, ma Balotelli è nervoso e poco efficace. Ci vorrebbe il Mario di altre occasioni. Oppure, in una partita così, occorrerebbe il sapiente piede, negli ultimi venti metri, di Pepito Rossi. Che Prandelli ha lasciato a casa e che, a quest’ora, starà soffrendo per l’Italia davanti a un teleschermo, da qualche parte, negli Stati Uniti. Finisce senza sprazzi un primo tempo fatto soprattutto d’attesa e di paura. E la ripresa si apre con la sorpresona: esce Balotelli, colpito duro al ginocchio, coi nervi a fior di pelle e le lacrime agli occhi: entra Parolo. Anche Oscar Tabarez fa un cambio: fuori Lodeiro e dentro un altro Pereira, Maximiliano.

ESPULSIONE – L’Uruguay continua a lottare più che a giocare: e quando Arevalo Rios attacca Verratti da dietro, l’arbitro Rodriguez si decide a estrarre il giallo. Molto teatrali, i giocatori uruguagi: quando colpiscono ritirano subito mano o piede; quando sono colpiti fanno sceneggiate alla napoletana. Ma ci sono momenti in cui scattano per colpire: è il 13’ quando Suarez lancia benissimo Rodriguez che, per fortuna, tira fuori. Poi riecco il teatro: Arevalo Rios attacca Marchisio che è in possesso del pallone. L’uruguaiano va in terra e l’arbitro… espelle Marchisio. Possibile? Decisione premeditata: nella mano dell’arbitro c’era già il cartellino rosso. No, caro Blatter e cari caporioni della Fifa, così non va. Giocare in dieci è sofferenza pura, anche perché l’Uruguay cerca di accelerare i tempi cercando il gol, Per fortuna Buffon riesce a fare un miracolo sul tiro di Suarez da distanza ravvicinata, liberato benissimo da Cavani. Gli azzurri cercano di reagire in contropiede al movimento lento ma avvolgente degli uruguagi. Ma Immobile non punge e vien anche colpito dai crampi: entra al suo posto Antonio Cassano. Non basta: soffre anche Verratti. Ancora crampi e ultimo cambio: gioca Thiago Motta. Quindi l’agguato: di Suarez su Chiellini. Lo aggredisce con non con una testata, come sembrava in un primo momento, ma con un morso, simulando di essere stato colpito a sua volta alla bocca.

GOL – L’arbitro non vede nulla. Eppure Suarez è soprannominato Hannibal anche per altri episodi avvenuti in Inghilterra e in Olanda. E’ comunque il prologo al gol uruguagio: lo segna Godin a metà fra spalla e collo. Praticamente è il colpo del kappaò. Mancano all’Italia le armi per attaccare e trovare il pareggio. Fitta rete di passaggi ma non si sfonda. I tocchi di Cassano sono inutili, quasi ridicoli. Ma perchè l’ha portato? E’ su questa domanda, che rimbomberà a lungo nelle orecchie di Cesare Prandelli, che si consumano gli ultimi minuti. E il fallimento dell’Italia al Mondiale brasiliano.

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Sandro Bennucci

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