Prandelli brav’uomo ma cattivo stratega: per le polemiche a scoppio ritardato
Domenica 13 luglio, mentre il professorino tedesco Loew e il distinto signore argentino Sabella si sfideranno in panchina per conquistare la Coppa del mondo, il nostro Cesare Prandelli, guida della poco fortunata spedizione azzurra in Brasile, seguirà l’epilogo del mondiale davanti alla televisione. A Istanbul. Dov’è andato a predicare calcio ai turchi. Cercando di dimenticare, attraverso un sontuoso contratto da 4 milioni e mezzo l’anno firmato con il Galatasaray, una delle meno felici avventure della sua carriera. Una carriera onesta, punteggiata da alcuni successi con la Fiorentina, e dal secondo posto all’Europeo 2012. Ma anche, e qui sta il punto, una carriera dove spiccano una bacheca semivuota e alcune polemiche di cui avrebbe potuto fare a meno.
Poco male, direte per la bacheca semivuota: ci sono stati, e ci sono, allenatori capacissimi e celebrati che non hanno avuto la possibilità di alzare molti trofei. Vero. Ed è altrettanto vero che Cesare Prandelli è una persona seria, un brav’uomo, capace di mettere faccia e nome al servizio di iniziative sociali assolutamente meritorie: come quella per l’ospedalino Meyer di Firenze. O delle associazioni di volontariato che assistono malati e disabili. A Firenze lo abbiamo visto sempre in prima fila quando c’è stato bisogno di lui.
Il problema? Che Prandelli, oltre ad aver vinto poco, non ha saputo gestire in modo altrettanto signorile gli insuccessi. Nella Fiorentina chiuse il suo ciclo con uno scontro, velato ma non troppo, con l’allora direttore generale Pantaleo Corvino, che lo rimproverava (come non pochi tifosi) di non aver saputo fare scelte vincenti in campo e di non aver valorizzato giocatori di buon rendimento. Un nome per tutti? Osvaldo. Segnò un gran gol a Torino, contro i granata, spalancando alla Fiorentina la porta della Champions League. Ritrovandosi poi il benservito e andando a trovare gloria (e tanti soldi) altrove. Prandelli poi si accorse dell’errore: perchè convocò Osvaldo in nazionale, salvo poi non portarlo in Brasile dove gli sono mancati proprio gli attaccanti ahe aveva scartato (lo stesso Osvaldo, ma soprattutto Destro e, soprattutto, Pepito Rossi).
Più o meno la stessa cosa, ossia la polemica postuma, ha inondato, e sta ancora inondando i giornali, dopo la chiusura della sua non breve avventura come ct azzurro. Sbarcato a Istanbul, Prandelli non ha saputo far di meglio, durante la sua presentazione, che tirar fuori la polemica con Pepito Rossi, che si era giustamente risentito per l’esclusione dalla rosa dei 23 che il ct ha portato in Brasile. Non si poteva dar torto a Pepito quando twittava il suo sconcerto: era fra i più in forma e mostrava di non risentire i danni dell’infortunio che gli capitò contro il Livorno alla vigilia della Befana. Ma a parte il merito della questione – esclusione giusta o ingiusta dai convocati per il Brasile – c’era proprio bisogno di attaccare Rossi per mascherare un fallimento nel quale Pepito non c’entra proprio nulla? Ecco il limite di Prandelli. Brava persona, senza dubbio, ma non uno stratega della panchina. Attaccato ingiustamente per la storia dello stipendio ricevuto dalla Federcalcio (un milione e 700 mila euro che sono niente in confronto a certi ricchi contratti di tanti allenatori meno validi), ma criticato, e stavolta con fondamento, per un Mondiale troppo ricco di errori e di scelte sbagliate. Che sarà ricordato anche per questa polemica a scoppio ritardato con Pepito: uno che, francamente, avrebbe meritato più rispetto.