Firenze, da sottostazione di energia elettrica a monumento dell’architettura
FIRENZE – Da anni è chiusa e inutilizzata. In pochi la conoscono. Eppure è una preziosa testimonianza dell’architettura italiana del ‘900, rimasta intatta dopo oltre 80 anni. È il caso dell’ex sottostazione di trasformazione di energia elettrica 120/30kv a Peretola, nell’immediata periferia di Firenze, alla fine della trafficatissima via Pistoiese.
Fino a ieri era sconosciuto anche il progettista. Poi la scoperta. «È opera dell’ingegner Francesco Bonfanti, uno dei massimi italiani del ‘900» sostiene un giovane architetto fiorentino, Filippo Cherubini, che ha presentato un recente studio su questo immobile, posto in quella periferia un tempo utilizzata non tanto come scenario di degrado e incuria, ma di sperimentazioni e di costruzione di edifici di particolare pregio. Un attenta ricerca su documenti e progetti dell’epoca ha portato oggi lo studioso fiorentino a dare («finalmente») un nome al realizzatore dell’opera.
L’iter progettuale della sottostazione elettrica risale al 1912, quando la Società Elettrica Selt Valdarno riceve l’autorizzazione ad impiantare una linea elettrica ad alta tensione (9200 Volts) a Peretola. «Il servizio – scrive l’architetto Cherubini – diventa ben presto punto nevralgico per la distribuzione di energia elettrica e riceverà, nel corso dei decenni successivi, continui e numerosi potenziamenti, sia tecnologici che strutturali. Tra queste l’installazione di tre terne di conduttori, per collegare la linea di Peretola alla vicina Ugnano».
Prima ingegnere e poi architetto, Bonfanti (1898-1959) è il costruttore della «città sociale». Grande amico del celebre architetto Giò Ponti e professionista di fiducia dei conti Marzotto, Bonfanti ha costruito gran parte della città di Valdagno, dall’originario paese di operai della celebre fabbrica di tessuti.
Anche a Firenze, Bonfanti ha «importato» il concetto di città sociale. Vetrate, giochi geometrici, terrazze, materiali e tutti gli elementi della mediterraneità sono parte intrinseca di questo progetto. «L’opera si configura – dice l’architetto Cherubini – così come un monumento al servizio del cittadino, un elemento che lavora per accrescere e elevare l’uomo. Si riscontra la carica del primi anni del ‘900 tramutata e reinterpretata dal professionista che impara a conoscere il movimento moderno, nella forma del primo razionalismo; e così dalla fusione di questo splendido incontro nasce l’opera d’arte».