Addio a Carlo Bergonzi, ugola d’oro del Novecento. Memorabile il suo «Elisir d’amore» al Maggio fiorentino
»Roma – È morto il tenore Carlo Bergonzi, fra i maggiori interpreti verdiani del Novecento. Aveva compiuto 90 anni il 13 luglio scorso eper l’occasione il paese natale di Giuseppe Verdi, Busseto, gli aveva reso omaggio con un concerto in piazza, diretto da Fabrizio Cassi.
Bergonzi aveva iniziato a studiare come baritono al Conservatorio Arrigo Boito di Parma. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo la prigionia in un campo di lavoro forzato in Germania, riprese gli studi di canto a Brescia e nel 1947 debuttò come Figaro in un piccolo teatro parrocchiale a Varedo, presso Milano. Dopo un po’ di carriera da baritono, alla fine del 1950, nel corso di una recita di «Madama Butterfly» a Livorno, in camerino provò ad emettere il do sovracuto che conclude il primo atto e si rese conto che era il caso di rivedere l’impostazione vocale. Passò quindi al registro tenorile, studiando da autodidatta e debuttando nel 1951 a Bari nell’«Andrea Chénier» di Giordano.
Da quel momento fu tutto un susseguirsi di successi nei maggiori teatri del mondo, compresa naturalmente la Scala. Molte le produzione storiche cui ha preso parte, tanto dal vivo quanto in studio di registrazione. Di buono c’è proprio che lascia un cospicuo numero di incisioni da cui già tanti grandi hanno tratto insegnamento (lo riconosce in un pubblico post su Facebook un altro grande tenore, Placido Domingo) e tanti potranno continuare a farlo. Ha il vanto, fra l’altro, di aver inciso tutte le arie verdiane per tenore.
Anche con l’Orchestra e il Coro del Maggio Musicale fiorentino ha lasciato incisioni memorabili, come quella della «Traviata» con Joan Sutherland (1963).
Nel 1967 al Teatro Comunale di Firenze si esibì con gran successo nella produzione de «L’elisir d’amore» di Donizetti trasmessa della Rai. Due anni dopo avrebbe dovuto essere Radames nell’«Aida» con cui si inaugurava il Maggio Musicale Fiorentino. Il direttore era un giovanissimo di belle speranze: Zubin Mehta. La sala era già gremita di VIP che attendevano il miglior tenore verdiano ancora in attività, ma restarono tutti delusi: Bergonzi si ammalò a poche ore dalla prima e la serata d’apertura del Maggio fu addirittura cancellata, visto che l’organizzazione non aveva trovato un sostituto all’altezza. Poi Bergonzi cantò benissimo in alcune repliche, dopo esser stato sostituito prima da Amedeo Zambon e poi da Flaviano Labò.
Un altro aneddoto riguarda il Teatro Regio di Parma, il cui loggione è ancora popolato da ascoltatori appassionati e pronti a dar battaglia se l’esecuzione non è di loro gusto. Nel 1959, nel corso di una recita di Aida, concluse la celebre aria del primo atto con un si-bemolle pianissimo, come prescritto da Verdi, ma l’accoglienza fu tiepida. Nel terzo atto cantò la frase «Il ciel dei nostri amori» ancora con un si-bemolle acuto pianissimo, sempre seguendo l’indicazione di Verdi. Un loggionista gli urlò: «Tajoli!», dandogli così del cantante leggero. Bergonzi salì addirittura in loggione per spiegare, spartito alla mano, il motivo della sua scelta. La pace coi suoi concittadini fu tuttavia siglata formalmente solo nel 2004, quando al Regio venne organizzata una serata in suo onore per festeggiarne l’ottantesimo compleanno.
Bergonzi terminò la carriera artistica nel 1995 con una serie di concerti a Vienna, alla Carnegie Hall di New York, alla Scala di Milano ed al Theatre de l’Athénée di Parigi. Successivamente, a parte qualche sporadica esibizione, si è dedicato esclusivamente all’insegnamento.