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Crescita: 80 euro e TFR non bastano. La palla al piede del Paese? I costi della politica

Palazzo Chigi, sede del Governo italiano
Palazzo Chigi, sede del Governo italiano

La ripresa economica tarda ad arrivare e il Governo compie sforzi tiepidi e finora vani per favorirla. Soprattutto, al di là della trasformazione delle province, non ha ancora inciso sui vergognosi privilegi e costi della politica a livello centrale e locale (soprattutto le regioni) che sono la vera palla al piede del nostro Paese. Quando elimineremo finalmente la casta famelica e esorbitante dei politici di professione, che resistono ad ogni stagione di presunte riforme?
I dati economici dell’Istat e di tutti gli istituti di analisi sono eloquenti: l`Italia resta in deflazione: a settembre (-0,3%) l’indice dei prezzi al consumo è calato ancora (-0,1% annuo), e si prevede una «nuova flessione del Pil nel terzo trimestre». La disoccupazione è stata in lieve calo (12,3% ad agosto) ma quella giovanile è balzata al 44,2%.
Questi dati trovano conferma anche nelle stime della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) presentato dal Ministero dell’Economia. Rispettato il vincolo del 3%, ma il pareggio strutturale di bilancio slitta al 2017. Deflazione a settembre e crescita sottozero.

LAVORO – Un cenno doveroso alla disoccupazione, alla quale si prevede di porre rimedio con l’approvazione del Jobs Act. Quella giovanile è volata al nuovo record del 44,2% (un punto percentuale in più su luglio e 3,6 punti sul 2013), al top dal 1977, anno di contestazioni e terrorismo. Ad agosto gli occupati italiani erano 22 milioni e 380 mila (+32 mila rispetto a luglio, appunto). Tra questi, 895 mila giovani (-33 mila). Una cifra quest`ultima che si avvicina gradualmente e pericolosamente a quella dei disoccupati under 24: 710 mila nelle liste dei senza lavoro (crescenti) .

TFR – Si pensa adesso di rilanciare i consumi introducendo una parte (50%) del Tfr (Trattamento di fine rapporto o liquidazione) dei lavoratori in busta paga. Analoga manovra si era tentata con gli 80 euro, ma è miseramente fallita. Vediamo allora alcune fondate perplessità sulla nuova misura. La coperta del Tfr non può bastare a soddisfare due esigenze: accrescere i consumi e incrementare i risparmi degli italiani. Secondo il premier la misura può decollare solo se si raggiungono accordi con le banche per finanziare le piccole imprese, che perderebbero il finanziamento a buon mercato derivante dall’accantonamento del Tfr dei lavoratori.

ACCANTONAMENTI – Gli accantonamenti annuali per il Tfr ammontano attualmente a 25 miliardi, secondo i calcoli di Alberto Brambilla, l`autore della norma sul trasferimento del Tfr nei fondi pensione. Di questi, 5,2 confluiscono nella previdenza complementare, 6 vengono versati dalle imprese con più di 50 dipendenti all’Inps e ben 14 sono finanziamenti per le piccole imprese. Con quel Tfr si costruiscono capannoni, si fa ricerca.

TRE BUCHI – Mettendo il Tfr in busta paga si aprirebbero, senza interventi compensativi, tre buchi: all’Inps verrebbero a mancare tre miliardi l’anno, i fondi pensione potrebbero contare su meno risorse e la previdenza integrativa continuerebbe ad avere vita stentata. Ma soprattutto le piccole e medie aziende – che sono il fondamento della nostra economia – all’improvviso si vedrebbero private di una fonte di credito decisiva, proprio mentre la politica dei prestiti non è delle più agevoli.

FISCO – Ma anche in merito ai vantaggi immediati per i lavoratori resta da chiarire quale sarà il trattamento fiscale di queste somme ricevute in anticipo. Se dovesse essere analogo a quello attuale, la liquidazione farebbe cumulo con gli altri redditi, e l`unico a guadagnarci sarebbe il Fisco. Con buona pace dei consumi.

Sembra dunque che, dopo il flop degli 80 euro in busta paga, anche questa nuova misura non sia destinata ad avere miglior successo per risanare l’economia. E incontra la netta opposizione dei sindacati.

Allora non resta che un intervento veramente incisivo sui costi esorbitanti della politica e della pubblica amministrazione. Per quest’ultima è già stata messa in campo una riforma, e ne vedremo i risultati nel prossimo futuro. Ma per ridurre i costi della politica non sembra che la trasformazione delle province, che ha portato a una riduzione di circa 3.000 posti di amministratore, abbia contribuito molto, visto che nel frattempo, con le nuove regole in vigore per l’elezione dei piccoli comuni, il numero dei Consiglieri è aumentato di 25.000 unità. Nè maggiori vantaggi presumibilmente deriveranno dalla riforma del Senato.
E che dire degli scandali e delle ruberie che recentemente hanno interessato quasi tutti i Consigli regionali, delle inchieste di magistratura ordinaria e contabile sugli sprechi e sui buchi della sanità? I Governatori, ogni volta che si parla di riduzione di poteri e di finanziamenti alle regioni insorgono, ma ricordino che lo sfascio della finanza pubblica è iniziato proprio con l’istituzione di questi enti. Riflettiamoci prima che sia troppo tardi.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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