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Unione Europea,

Legge di stabilità: ecco i poteri dell’Ue per modificare la manovra del governo Renzi

ROMA – La legge di stabilità è stata appena inviata alla Commissione Ue e già si discute se i severi burocrati di Bruxelles interverranno o no nei confronti del nostro Paese. I quotidiani di oggi propendono per il sì, anche se non in modo da umiliare il nostro Governo. Ma quali sono le regole, accettate anche dall’Italia, in base alle quali l’Unione può intervenire nei confronti dei paesi considerati inadempienti alle regole del Fiscal Compact? Cerchiamo di spiegarlo.

FISCAL COMPACT – L’Europa, dopo la firma del Fiscal Compact, impone agli Stati membri tre vincoli: un limite del 3% del deficit di bilancio in rapporto al Pil: un debito pubblico che non superi il 60% del Pil (o che si riduca ogni anno di un ventesimo della parte eccedente); un deficit strutturale (cioè al netto del ciclo economico) dello 0,5% del Pil (o, anche in questo caso, in calo dello 0,5% annuo).
Negli ultimi 17 anni, cioè da quando esiste il Patto di stabilità e crescita, solo 4 Paesi Ue su 28 sono sempre rimasti sotto al fatidico 3%, come ricorda uno studio di Notre Europe, il think tank fondato da Jacques Delors. Sono Estonia, Finlandia, Lussemburgo e Svezia. Per gli altri, il rispetto del 3% è stato più l’eccezione che la regola: la Francia è rimasta nei limiti solo 7 volte su 17,l’Italia 8 volte, la Germania 10, Grecia e Portogallo mai. Quanto al debito, nel 2013 solo cinque Paesi erano sotto al 60%: Estonia, Finlandia, Lettonia, Lussemburgo a Slovacchia.

SORVEGLIANZA SPECIALE – I Paesi che non rispettano le regole finiscono tra i sorvegliati speciali e possono essere posti, come si dice in gergo europeo, sotto ‘procedura di deficit eccessivo’. Attualmente 11 Paesi della Ue si trovano in questa situazione: Cipro, Croazia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Malta, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna. L’Italia invece ne è uscita nel 2013. La prima valutazione sull’apertura di una procedura è della Commissione, ma la decisione finale spetta ai capi di Stato e di Governo. Quando il Consiglio decide che in un Paese esiste un disavanzo eccessivo, invia delle raccomandazioni allo Stato membro in questione, il quale le deve adottare entro un certo periodo. Se lo Stato le ignora, il Consiglio può applicare sanzioni o ammende.

SANZIONI – Da quando esiste il Patto di stabilità le sanzioni pecuniarie non sono mai state applicate a nessuno Stato membro nonostante le ripetute violazioni dei limiti di deficit e debito e l’apertura di numerose procedure di disavanzo eccessivo. Questo perché i Paesi nel mirino si sono appellati alle clausole di flessibilità previste dalle regole Ue. E Bruxelles le ha accettate. Vediamo quali sono.

PATTO STABILITÀ – Il Patto di stabilità prevede infatti delle clausole di cui diversi Stati membri hanno potuto beneficiare negli ultimi anni, in modo da poter usufruire di uno o due anni in più per correggere i disavanzi. Si tratta delle ‘circostanze eccezionali’, ossia indipendenti dalla volontà dello Stato e aventi effetti sensibili sui conti pubblici, come una grave recessione economica; ma si può tenere anche conto di riforme strutturali di ampio respiro, con effetti positivi a lungo termine sul bilancio. E’ su quest’ultimo punto che contano il premier italiano Matteo Renzi e quello francese Manuel Valls per convincere la Commissione.

BILANCIO – Ogni governo deve far pervenire alla Commissione europea entro il 15 ottobre il progetto di legge di bilancio, quella che in Italia ora chiamiamo legge di stabilità. Bruxelles la esamina e si pronuncia entro il 30 novembre. Se rileva ‘gravi inosservanze’ del Patto di stabilità e di crescita, può chiedere entro due settimane allo Stato membro di modificare il progetto di Finanziaria. Il che non significa che la Commissione abbia diritto di veto o di modificare direttamente il bilancio: sta al governo di quel Paese decidere se seguire i consigli di Bruxelles o se ignorarli, con le conseguenze del caso. Per l’Italia, in tal caso, come minimo c’è il rischio di tornare invischiata nella procedura Ue da cui era uscita nel 2013.

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